Il luogo del “delitto”

Non so perché ma non sono mai più tornato per desiderio o piacere nelle scuole lasciate finito il ciclo di studi di primo e secondo grado.

Sì, non sono mai tornato sul luogo del delitto! Forse perché il “delitto” non c’è mai stato o non sono stato io a compierlo.
Che vuol dire?

Ho fatto abbastanza bene i miei gradi di scuola, ma non tanto da volerci mettere piede per la voglia di rivedere persone e luoghi, rivivere sensazioni, riscoprire angoli e trovare novità. Quando ci penso, sento che dentro quelle mura, sulle pareti, tra i banchi, ho lasciato e c’è qualcosa di me, però ciò non fa scattare la molla.

Ci fosse stato un “delitto”, magari ci avrei messo piede una o più volte per scelta e non per forza, invito o necessità. E qui non parlo dei compagni di classe delle medie e delle superiori, neanche dei docenti, bensì del clima generale, di un ambiente che non ha mai avuto il sapore e l’odore della “casa”, dove ci stai bene, non te ne vuoi andare, non vedi l’ora di rientrare. Il “delitto” è il simbolo di qualcosa di forte, di intenso, di passionale, di coinvolgente, di una storia vissuta da protagonista o coprotagonista, di una partita decisiva giocata fino all’ultimo minuto.
Il mio tesoro non è là e dunque non c’è neppure il mio cuore!

L’ho raccontato di recente agli studenti del quinto anno, che hanno chiesto cosa avesse significato per me finire il liceo dopo cinque anni, visto che ora tocca a loro. «Prof., ma ciò non le dispiace?», hanno chiesto.

«Mi dispiace moltissimo e spero non capiti a nessuno di voi», ho risposto in modo deciso. Se è vero che ogni esperienza va vissuta in un determinato tempo e dopo i rimpianti non servono, è vero anche che puoi fare qualcosa nel presente perché non accada ad altri.

Ed io da docente cosa posso fare perché la scuola sappia di “casa”? Sicuramente non molto da solo, poiché è una questione di “clima” ed il clima è frutto di molteplici fattori legati fra loro.

C’è dunque bisogno che ciascuno faccia la propria parte e nel miglior modo possibile. Docenti, dirigenti, personale, famiglie, siamo tutti “agenti” potenzialmente determinanti un clima positivo, negativo o persino di indifferenza. E gli studenti?
Certo tocca anche loro una buona parte, ma “a responsabilità limitata”, visto che sono i più fragili e variabili dentro il microcosmo scuola.

Per loro e con loro va creato un ambiente non semplice e facile, dove ciascuno agisce come vuole, ma in cui – pur tra le difficoltà e le fatiche – si abbiamo punti di riferimento sicuri, parole usate per edificare, gesti promuoventi la persona, azioni qualificanti, relazioni significative, contenuti che riempiano il cuore e la mente, accendano i sogni, stimolino i progetti, profetizzino il futuro rendendo consapevoli del presente. “Clima”, “ambiente”, “casa”: non so in quanti piani triennali dell’offerta formativa siano contemplati come parole e come azioni concrete, come quadri di riferimento e possibili prospettive; so che dove ci si impegna, si sentono e si vedono, si percepiscono subito e ci si sta bene, persino alla fine ci si lascia un pezzetto di cuore!