La fragile felicità delle nuove generazioni

La fragile felicità delle nuove generazioni

Di Alessandro Rosina

L’estate è un periodo di lunga vacanza per i ragazzi italiani. 

In modo crescente tale periodo è utilizzato per fare esperienze di volontariato di vario tipo.
Le offerte stesse di impegno (sociale, civile, ambientale), sono in continua evoluzione, con proposte mirate da organizzazioni e associazioni (Legambiente, Libera, Amnesty International, Fai, Aiesec, Arci, Acli, Caritas, Misericorde d’Italia, tanto per citarne alcune).
Si tratta di una conferma del fatto che la felicità per i giovani non sta nel tempo sprecato o nel tempo spensierato, ma nel tempo riempito di esperienze positive che producono valore nel fare con gli altri. I dati del Rapporto giovani dell’Istituto Toniolo mostrano come i più felici siano proprio i giovani che oltre a studiare, lavorano e ancor più fanno attività di volontariato. Mentre, al contrario, i meno felici sono I NEET, i giovani che non studiano e non lavorano.
Quest’ultima condizione produce un effetto corrosivo, come evidenziano i dati dell’Osservatorio giovani dell’Istituto Toniolo: al «non» studio e lavoro tendono ad associarsi anche altri «non» sul versante delle scelte di autonomia, di formazione di una famiglia, di partecipazione civica, di piena cittadinanza.

È crescente la consapevolezza dell’importanza di aiutare i giovani ad immettersi, concretamente, all’interno di un circuito virtuoso in cui “imparare” e “fare” si stimolano e sostengono a vicenda, con al centro il miglioramento continuo delle competenze (non solo tecniche, ma anche sociali, che aiutano a rispondere in modo versatile ed efficace alle sfide del lavoro e della vita).  Tutto questo come parte più generale del processo di comprensione della realtà che cambia e della capacità di agire con successo al suo interno. I Neet sono i giovani che non riescono ad inserirsi in tale circuito virtuoso.
Di fronte alle grandi trasformazioni demografiche, alle sfide poste dalla globalizzazione e dall’innovazione tecnologica – destinate a produrre un grande impatto sulle vite dei singoli, sull’organizzazione sociale, sulla crescita economica – è cruciale, anzi vitale, aiutare le nuove generazioni a produrre nuove mappe della realtà che muta e individuare i percorsi più promettenti per raggiungere obiettivi condivisi. Il rischio è altrimenti quello per i giovani di perdersi e per la collettività di impoverirsi e veder aumentare diseguaglianze e tensioni sociali.

I giovani chiedono a chi guida il paese di impegnarsi maggiormente a migliorare le condizioni dei cittadini e del contesto sociale e ambientale in cui vivono. Ma è crescente la convinzione che serva anche una spinta dal basso, che nessun vero miglioramento sia possibile senza un protagonismo attivo dei cittadini e in particolare dei giovani stessi. Da varie ricerche emerge come la maggioranza dei giovani non si senta inclusa nei processi decisionali e politici e ritenga che le nuove generazioni dovrebbero essere maggiormente coinvolte. È però anche vero che le modalità di partecipazione tradizionali funzionano sempre meno. I giovani di questo secolo, in particolare, tendono a prediligere una partecipazione meno guidata da ideologie, più orientata al risultato direttamente riscontrabile e associata a una propria esperienza positiva di arricchimento personale. Ciò che li ingaggia maggiormente è poter fare un’esperienza condivisa in cui si esercita la propria capacità di esprimere un protagonismo positivo nel migliorare il contesto di riferimento. Sempre i dati del “Rapporto giovani” mostrano come la partecipazione sociale risulti più bassa rispetto ai coetanei degli altri grandi Paesi europei, ma più alta è la domanda potenziale espressa. Il che significa che anche sul volontariato e sull’impegno civile stiamo sottoutilizzando la voglia di essere e fare delle nuove generazioni italiane.

Questo vale ancor più sul tema dell’ambiente. Più che nelle generazioni precedenti c’è l’idea di un pianeta inteso come casa comune e del patrimonio naturale come bene comune. C’è poi la volontà di uscire dalla gabbia del presente e di reagire al rischio di essere una generazione che subisce passivamente le trasformazioni del proprio tempo, per passare a una idea positiva di futuro da realizzare con il proprio impegno e in coerenza con proprie aspettative e sensibilità.

La felicità non è qualcosa da trovare nel futuro (come un tesoro in un’isola sperduta chissà dove) ma sta nel sentirsi oggi parte attiva e riconosciuta di un processo di costruzione collettiva di un domani migliore del presente. È prendere in mano la propria vita e accettare la sfida di renderla qualcosa di valore, di bello, di unico. Come scrivo nel mio libro Il futuro non invecchia, questo richiede un nuovo approccio soprattutto nei confronti del presente, superando la propensione a farne il tempo delle scelte a difesa del benessere raggiunto, per renderlo il tempo dell’investimento sul benessere futuro. Tutto ciò che consente ai giovani di fare oggi esperienze positive, che aiutano a sperimentarsi nell’essere e nel fare con gli altri, inserendole in un percorso di arricchimento di senso e valore, aumenta nel presente la felicità dei singoli e rafforza la capacità collettiva di generare benessere futuro.

Fonte: http://rivista.vitaepensiero.it//news-vp-plus-la-fragile-felicita-delle-nuove-generazioni-5162.html