L’eredità di Don Bosco

L’eredità di Don Bosco: un “faro luminoso” contro la cultura dell’indifferenza

Liberamente tratto da un’intervista di Zenit a Don Mauro Mantovani, rettore della Pontificia Università Salesiana 

Quo’è il suo bilancio dell’appena trascorso bicentenario di Don Bosco?

Il Bicentenario della nascita di Don Bosco è stato un momento di grazia per tutta la congregazione, un’occasione per sentire come il nostro fondatore sia stato e continui ad essere un dono non solo per i salesiani ma per tutta la Chiesa e la società. Per me ha rappresentato un nuovo appello ad una fedeltà dinamica alla vocazione ricevuta, chiedendomi che cosa significa nella mia vita di tutti i giorni, con le sue gioie e le sue fatiche, le sue sfide e le sue opportunità, il cercare di essere e di fare “come Don Bosco”. Al Bicentenario siamo giunti con un triennio di preparazione e di approfondimento della storia, della pedagogia e della spiritualità salesiana.
Come ha ricordato il nostro Rettor Maggiore, si è trattato di “guardare al passato con gratitudine, al presente con speranza, e per sognare il futuro di missione evangelizzatrice ed educativa”. La chiusura delle celebrazioni si è svolta al Colle Don Bosco il 16 agosto scorso, alla presenza di tanti giovani di tutto il mondo, e con lo slogan Come Don Bosco, con Don Bosco, per i giovani, che è diventato un programma di vita e di azione da realizzare.

Qual è il legame profondo che unisce i salesiani impegnati negli oratori ai loro confratelli che formano le future classi dirigenti della società?

Il “cuore” della vocazione salesiana è di essere nella Chiesa segni e portatori dell’amore di Dio ai giovani, specialmente ai più poveri. Ciò si realizza in diverse modalità, con un’azione pastorale indirizzata agli ambienti popolari, alla missione evangelizzatrice, alle aree del disagio ecc., ma sempre con una prospettiva di educazione integrale della persona, quindi attenta anche alla dimensione intellettuale e professionale della formazione, insieme a quella morale e religiosa. Don Bosco stesso, che da giovane ha compiuto grandi sacrifici per la sua stessa istruzione e formazione, ha indicato nella “ragione” – insieme con la “religione” e l’“amorevolezza” – la base del suo sistema educativo. Sulla scia del nostro fondatore, l’educazione, attraverso l’istruzione e la formazione, fa parte del nostro “DNA”, e ciò rende ragione anche dell’esistenza di un’Università Salesiana, nata a suo tempo per rispondere alle esigenze di preparazione e formazione dei nuovi membri della Congregazione salesiana, ma che oggi svolge uno specifico servizio culturale alla Chiesa e alla società aperto a studenti e di studentesse di tutto il mondo e di tutte le vocazioni.

Da non pochi anni si parla di una crisi dell’educazione cattolica. Cosa  potrebbe rivitalizzare la scuola cattolica, tornando a farne un modello per l’intero sistema educativo?

La sfida dell’emergenza educativa oggi attraversa l’intera società, e investe ovviamente la questione dell’educazione cattolica. Il contributo delle scuole e delle università cattoliche diventa così sempre più determinante per offrire una visione ed una pratica della formazione in prospettiva di “nuovo umanesimo”, ossia mettendo al centro la persona nella sua pluridimensionalità, nella sua unicità e originalità, nel suo essere a “immagine e somiglianza” di Dio, chiamata a realizzarsi nell’apertura all’Assoluto, nella relazione e nella donazione di sé, a crescere nelle virtù morali, superando l’egoismo e mettendo a disposizione generosamente le proprie risorse e capacità non per propri interessi personali ma per il bene comune. Le nostre istituzioni dovrebbero diventare sempre più dei “fari luminosi” per offrire esperienze concrete e buone pratiche di educazione al dialogo e all’incontro, e al superamento della cultura dell’indifferenza e dello scarto. Sto leggendo su questi temi i due testi del nostro docente psicologo salesiano, prof. Sandro Ferraroli, editi da ElleDiCi, dai suggestivi titoli Educare si può. Famiglia e scuola insieme e Educare si deve. Educatori appassionati e significativi, che mi sento senz’altro di consigliare.

Avanzano modelli culturali e antropologici considerati discutibili. Gli educatori cattolici devono mettere in guardia i giovani o, piuttosto, insistere sull’aspetto costruttivo e sul “metodo preventivo” tipicamente salesiano?

Certo, la questione fondamentale è eminentemente antropologica, e su questo non ci si può sottrarre al confronto culturale che in alcuni frangenti richiede anche delle scelte di campo e delle prese di posizione precise, rispettose delle prospettive altrui ma anche chiare e non equivoche. Per esempio sulla scuola e sulla famiglia.

Come salesiani, in ogni caso, sulla scia di Don Bosco e dell’umanesimo di San Francesco di Sales, crediamo nelle risorse naturali e soprannaturali dell’uomo, pur non ignorandone la debolezza, e preferiamo per questo impegnarci soprattutto sull’aspetto costruttivo e preventivo cercando di cogliere e sottolineare i valori positivi presenti nelle varie culture e anche nella società globalizzata, evitando di gemere continuamente sul nostro tempo.
Si tratta pertanto di lavorare per appassionare i giovani a ciò che è autenticamente vero, buono, bello, degno di impegno e di sacrificio, capace di rendere felici nel tempo e nell’eternità. A nuovi stili di vita e di pensiero che rispecchino veramente la sapienza del Vangelo, così antica e sempre così sorprendentemente nuova, quando la si vive e la si trasmette.

Testi originali di LUCA MARCOLIVIO. Fonte: http://it.zenit.org