L’inclusione sociale secondo don Bosco

Di Francesco Motto, SDB

 

 

È piuttosto nota la storia della chiesa del Sacro Cuore di Roma, oggi basilica, assai frequentata da persone che frettolose transitano per l’attigua stazione Termini.

Una storia irta di problemi e difficoltà di ogni genere per don Bosco mentre la chiesa era in costruzione (1880-1887), ma anche motivo di gioia e soddisfazioni una volta portata a termine (1887). Meno nota invece la storia dell’origine della “casa di carità e di beneficienza capace di accogliere almeno 500 giovanetti” che don Bosco volle edificare a fianco della chiesa. Un’opera, una riflessione estremamente attuale… di 140 anni fa!

Ce la presenta don Bosco stesso nel numero di gennaio 1884 del Bollettino Salesiano:

A centinaia e a migliaia sono oggidì i poveri fanciulli, che vagano per le vie e per le piazze di Roma, in pericolo della fede e del buon costume. Come già vi faceva notare in altre occasioni, molti giovanetti o da soli o colle loro famiglie si recano in detta città non soltanto dalle varie parti dell’Italia, ma eziandio da altre nazioni, colla speranza di trovare lavoro e danaro; ma delusi nella loro aspettazione cadono ben presto nella miseria e nel rischio di mal fare, e per conseguenza di essere condotti a popolare le prigioni”.

Fare l’analisi della condizione giovanile nella “città eterna” non era difficile: la preoccupante situazione di “ragazzi di strada”, italiani o no, era sotto gli occhi di tutti, delle autorità civili e di quelle ecclesiastiche, dei cittadini romani e della moltitudine di “buzzurri” e di stranieri arrivati in città una volta dichiarata capitale del Regno d’Italia (1871). La difficoltà nasceva dalla soluzione da prospettare per risolverla e dalla capacità di realizzarla una volta individuata.

Don Bosco, per altro non sempre ben visto in città per la sua origine piemontese, propone ai Cooperatori la sua soluzione:

Or bene l’Ospizio del Sacro Cuore di Gesù avrebbe per iscopo di ricoverare giovanetti poveri e abbandonati, provenienti da qualsiasi città d’Italia o di altro paese del mondo, educarli nella scienza e nella religione, istruirli in qualche arte o mestiere, e così allontanarli dal vestibolo delle prigioni, ridonarli alle loro famiglie e alla civile società buoni cristiani, onesti cittadini, capaci di guadagnarsi onorato sostentamento colle proprie fatiche”.

In anticipo sui tempi

Accoglienza, educazione, formazione al lavoro, integrazione e inclusione sociale: ma non è questo oggi l’obiettivo prioritario di tutte le politiche giovanili a favore degli immigrati? Don Bosco dalla sua parte aveva esperienze al riguardo: da 30 anni a Valdocco si accoglievano ragazzi di varie parti di Italia, da alcuni anni nelle case salesiane di Francia vi erano figli di immigrati italiani e non solo, dal 1875 a Buenos Aires i salesiani avevano la cura spirituale degli italiani immigrati, provenienti da varie regioni d’Italia (decenni dopo si sarebbero anche interessati di Jorge Mario Bergoglio, futuro papa Francesco, figlio di immigrati piemontesi).

 

La dimensione religiosa

Naturalmente a don Bosco interessava soprattutto la salvezza dell’anima dei giovani, che richiedeva la professione di fede cattolica: “Extra ecclesia nulla salus”, come si diceva. Ed in effetti scrive:

Altri poi e della città e forestieri per la miseria sono esposti quotidianamente al pericolo di cadere nelle mani de’ protestanti, che hanno, per così dire, invasa la città di S. Pietro, e tendono specialmente i loro agguati ai giovanetti poveri e bisognosi, e sotto il colore di porgere loro l’alimento e le vesti del corpo, propinano invece alle anime loro il veleno dell’errore e dell’incredulità”.

Si spiega allora come nel suo progetto educativo di Roma, vorremmo dire, nel suo “global compact on education”, don Bosco non trascuri la fede.

Un percorso di vera integrazione in una “nuova” società civile non può escludere la dimensione religiosa della popolazione. Gli torna utile l’appoggio papale: uno stimolo in più “per le persone che amano la religione e la società”:

Quest’Ospizio sta molto a cuore al Santo Padre Leone XIII, il quale, mentre con apostolico zelo si adopra per dilatare la fede ed il buon costume in ogni parte del mondo, lascia nulla d’intentato in favore dei fanciulli più esposti ai pericoli. Quest’Ospizio deve quindi stare a cuore a tutte le persone, che amano la religione e la società deve stare a cuore soprattutto ai nostri Cooperatori e alle nostre Cooperatrici, a cui in modo speciale il Vicario di Gesù Cristo affidò il nobile incarico e dell’Ospizio medesimo e della Chiesa annessa”.

Infine nell’appello alla generosità dei benefattori per la costruzione dell’ospizio don Bosco non poteva far mancare un riferimento esplicito al Sacro Cuore di Gesù, cui era dedicata l’attigua chiesa:

Possiamo eziandio ritenere per certo che tale Ospizio sarà ben gradito al Cuor di Gesù… Nella vicina Chiesa il divin Cuore sarà il rifugio degli adulti, e nell’Ospizio attiguo si mostrerà l’amico amorevole, il tenero padre dei fanciulli. Egli avrà in Roma ogni giorno un drappello di 500 fanciulli a fargli divota corona, a pregarlo, a cantargli osanna, a domandargli la santa benedizione”.

Tempi nuovi, nuove periferie

L’ospizio salesiano, sorto come scuola di arte e mestieri e oratorio alla periferia della città – che all’epoca iniziava in piazza della Repubblica – successivamente risultò assorbito dall’espansione edilizia della stessa città. La primitiva scuola per ragazzi poveri ed orfani fu trasportata nel 1930 in una nuova periferia e venne sostituita in tappe successive da vari tipi di scuole (elementari, medie, ginnasio, liceo).

Diede anche ospitalità per un certo tempo agli studenti salesiani che frequentavano l’università gregoriana e ad alcune facoltà dell’Ateneo Salesiano. Sempre rimase parrocchia e oratorio nonché sede centrale dell’ispettoria romana. A lungo ha ospitato alcuni uffici nazionali e da tre anni è sede centrale della Congregazione salesiana: strutture queste che hanno animato e animano le case salesiane per lo più nate e cresciute alle periferie di centinaia di città, o nelle “periferie geografiche ed esistenziali” del mondo per dirla con papa Francesco. Così come il S. Cuore di Roma, che conserva tuttora un piccolo segno del grande “sogno” di don Bosco: offre una primissima assistenza ad immigrati extracomunitari e con il “Banco dei talenti” del Centro giovanile provvede alimenti, vestiario e beni di prima necessità ai senza tetto della stazione Termini.

 

 

Fonte: Bollettino Salesiano, Gennaio 2021