Amoris Laetitia – 2°

da | 19 Apr 2016 | La buona parola

La relazione coniugale, santuario della Vita

Proseguiamo il nostro cammino di approfondimento sull’esortazione “Amoris Laetitia” di Papa Francesco, con la riflessione sulla responsabilità della relazione coniugale.

La famiglia si fonda sul disegno naturale di Dio, che nell’uomo e nella donna ha impresso la propria immagine; questa vocazione originaria si costruisce giorno per giorno, momento per momento.
L’Amore, che anima il rapporto coniugale, non può avere limiti: come afferma San Tommaso d’Aquino, “La carità, in ragione della sua natura, non ha un limite di aumento, essendo essa una partecipazione dell’infinita carità, che è lo Spirito Santo. […] Nemmeno da parte del soggetto le si può porre un limite, poiché col crescere della carità, cresce sempre più anche la capacità di un aumento ulteriore” (AL 134).

Tra marito e moglie, e solo tra loro due, in forza del sacramento del matrimonio, intercorre un legame non più solo umano, ma divino.

È la Grazia che genera la stabilità e fortifica la donazione di sé: ciò su cui i cristiani devono fare una seria autocritica, secondo il Papa, non è la trasmissione del modello di famiglia (come riferiscono i media), ma l’aver escluso l’opera di Dio dalla catechesi matrimoniale (AL 36).

Se si dimentica che l’autore del matrimonio è il Signore, si considera la l’assunzione del vincolo coniugale come un fardello insopportabile.

Vita coniugale cristiana significa, senza dubbio, “prendere su di sé il giogo soave e imparare da Cristo ad essere miti e umili di cuore” (cfr. Mt 11,29), ma il fine è tanto più alto quanto più grande è la chiamata dell’uomo.
Ogni giorno, il consenso, prestato nella celebrazione sacramentale, si rinnova e diviene la base per una creatività affettiva e una resistenza agli attacchi del mondo.
La società, sempre più tesa verso la secolarizzazione, rigetta la famiglia naturale perché la ritiene una privazione di libertà: e questo avviene perché è escluso Dio dal calcolo delle possibilità.
Se l’autodeterminazione esclude l’infinitamente Altro, non ci sarà spazio per il prossimo: egoismo, incapacità a dire “grazie”, chiusura al dono, saranno le caratteristiche delle relazioni.

Non stupisce, dunque, che si vada sempre più verso unioni “soft”, basate sulla scelta momentanea, o verso strumenti di “ingegneria giuridica”, volti a garantire il rispetto del “diritto di amare”, in una prospettiva di individualismo, o, ancora, a intervenire sul mistero della procreazione, tramite un uso della tecnica scientifica sconsiderato e avulso dalla meditazione sull’uomo (AL 53, 56, 251).

Il Papa, in più punti dell’esortazione, condanna la volontà dell’uomo di sostituirsi a Dio, pretendendo di costruire modelli identitari che prescindano dalla custodia dell’ordine naturale, con espresso riferimento alle teorie di dissociazione del dato sessuale dal gender; è la negazione della responsabilità di creature ad causare un progressivo allontanamento dalla Verità e a ricercare sfoghi per esorcizzare la solitudine.

Se il corpo del marito appartiene alla moglie e viceversa, in un’ottica di carità, diventa una contraddizione frapporre limiti, disgiungendo il fine unitivo da quello procreativo (AL 68).
Allo stesso modo, non rispettare l’altro e renderlo strumento per placare i propri desideri disordinati, è segno di irresponsabilità e di crisi dell’Amore sacramentale (Paolo VI, Humanae Vitae, 10).
Quando si supera l’egocentrismo, la famiglia diviene santuario della vita, e la sessualità il mistero nuziale che sigilla e porta a compimento il cammino dei coniugi verso l’unità e la condivisione di tutto il proprio essere (AL 83).

L’inno alla Carità di San Paolo è posto dal Papa come via maestra del matrimonio cristiano: misericordia, pazienza, volere il bene dell’altro e gioia nel compierlo, umiltà, generosità, mitezza, tendono all’amabilità; chi ama diventa amabile, perché partecipa della Bontà di Dio che è la causa del nostro Amore (AL 99, 120).

La Carità permea i doveri coniugali, rede soave il vincolo, come affermava Papa Pio XI nell’enciclica “Casti connubii”, non è un palliativo, ma è l’origine stessa del matrimonio.
Come la Santa Famiglia di Nazareth, le famiglie cristiane sono il segno per il mondo dell’Incarnazione, del tempo gravido di Eternità, della speranza che non delude, ma perfezione e santifica l’uomo, rendendolo partecipe del dono dello Spirito Santo (AL 65-66).

Andrea Miccichè