Padre Puglisi e santità oltre il martirio

da | 25 Set 2018 | La buona parola

Se oggi nella Chiesa ricordiamo universalmente Padre Pino Puglisi, è per il suo martirio e per l’immediato legame con l’impegno contro la mafia e per la legalità.
Ma c’è molto di più e Papa Francesco, visitando Palermo, ha acceso un faro!

La sua santità precede e va oltre gli anni di Brancaccio, toccando tutta la sua vita. Personaggi noti o sconosciuti alle cronache o ai libri, quando parlano di lui, lo descrivono come un prete che ha fatto la scelta preferenziale per i poveri, per i giovani, per le famiglie, sacrificando se stesso, anche fisicamente. Non c’erano orari di pranzi e cene, a volte saltava i pasti o si accontentava di scatolette; non c’erano regali ricevuti che tenesse per sé, poiché trovava sempre qualcuno che ne avesse più bisogno; non c’era persona che gli si accostasse senza che lui desse tutto il tempo per ascoltarla, magari tardando all’appuntamento successivo.

Già questo ce lo indica come modello di santità, come chi si mette da parte e offre la propria vita per gli altri.

Era un prete e faceva il prete accogliendo il Vangelo nell’unico modo possibile, cioè interamente! Era obbediente al suo Vescovo e ogni destinazione, qualunque incarico, anche quando si trattava di più servizi e diversi, l’accoglieva come una missione e senza mormorazioni: «L’ho faccio per obbedienza e per amore. D’altronde io sono così. Appena mi dicono che in quel posto non vuole andare nessuno, avverto immediatamente l’impulso a precipitarmi proprio lì». E viene da pensare perché “quel posto” non fosse ambito o persino rifiutato da altri!

Anche questo sa di santità, nel superamento delle questioni umane, nella fedeltà alla Chiesa, nel lasciare tutto ogni volta, comprese certezze e tranquillità, nel “sì” obbediente e consapevole come Maria.

Padre Pino aveva pure un gran fiuto per i ragazzi ed i giovani, per quelli alla ricerca di un senso per la propria vita e per quelli la cui vita era minacciata dalla malavita organizzata o dalla miseria. Sapeva coinvolgere gli uni e gli altri, e questo grazie ad una capacità di ascolto unica e ad un uso delle parole attento e dai toni pacati ma decisi. Soprattutto c’era, quindi stava con loro, li cercava, li coinvolgeva, faceva proposte importanti e per qualcuno dirompenti. Non li traeva a sé, sapeva di essere solo il messaggero, bensì li conduceva a Gesù, gradualmente e nell’accompagnamento personale e spirituale. Per questo, ancora un volta, la santità gli si addice, avendo portato Cristo ai giovani e i giovani a Cristo, partendo per ciascuno da ciò che erano e puntando sul potenziale. Dovunque fosse, creava ponti e abbatteva muri, era un fuoriclasse che giocava da mediano, a servizio della squadra e non per il successo personale; non aveva collaboratori o subalterni, bensì cooperatori e suoi pari, laici e consacrati, giovani e adulti con cui condivideva tutta la missione con una visione di Chiesa straordinaria e coinvolgente, per tutti “nessuno escluso”, comunità e non “comunella”. Li mise da parte un po’ solo quando capì il pericolo a Brancaccio, sentì e provò il cattivo fiato mafioso sul collo, per non far rischiare nessuno dei suoi amici e cooperatori, facendo da scudo dinanzi agli attacchi più o meno espliciti e le vere minacce.

Ecco, allora, la santità di chi serve il Vangelo non come un possesso, ma come un tesoro da condividere; non come un privilegio ma come un dono che è più bello se goduto insieme.

L’odore di santità in lui si mescolava con “l’odore delle pecore addosso” di cui parla Papa Francesco e lo si sentiva persino nella scuola statale, nei tanti anni di insegnamento, nel rapporto speciale con gli studenti e con i colleghi; non un lavoro come altri, non ore rubate al ministero sacerdotale, bensì un ampio tempo per un’efficace azione pastorale.
Per questo Padre Pino leggeva, studiava, si formava, curava la sua biblioteca, seguiva persino delle lezioni; aveva l’umiltà del sapiente e non l’arroganza di chi pensa si possa vivere di rendita.

Tutto era condito da un’intensa vita interiore, sacramentale e di preghiera, dal suo essere “profondamente uomo e profondamente uomo di Dio”, e arricchito dalla consapevolezza che “chi ha incontrato Cristo è felice” e la gioia per un tale incontro deve essere piena e contagiosa. Con “3P”, come per Francesco d’Assisi, San Filippo Neri e San Giovanni Bosco, riscopriamo una santità col sorriso!

Marco Pappalardo