15^ Domenica del Tempo Ordinario

12 luglio 2020 – Anno A

Vangelo di Matteo 13,1-23

Commento di suor Maria Vanda Penna, FMA

 

Nel seme, la vita.

Gesù è il seminatore, il seme è la sua parola, il Verbo, sparso in abbondanza su ogni tipo di terreno. Perché correre il rischio che il seme sia sciupato, perso, che non porti il frutto di cui è carico? Perché nessuno possa dire: io non l’ho avuto. E noi sappiamo che la Parola non torna mai indietro senza aver prodotto qualche frutto.

Il parlare semplice di Gesù, che si adatta all’ambiente di chi ascolta, è un grande incoraggiamento per noi: chi vuole può capire.

Il discepolo, colui che vuole seguire Gesù nella verità della vita, dalla sua parola riceve la forza per farlo.

Gesù parla agli Israeliti, che già dovevano aver accolto la legge di Mosè per vivere secondo i suoi insegnamenti rendendo docile il loro cuore. Ma chi già di fronte all’antica legge aveva indurito il cuore rendendola una serie di precetti esteriori da osservare, senza che il cuore ne venisse toccato in profondità, mantiene lo stesso atteggiamento di fronte alla parola di Gesù. Orgogliosamente dicono di essere figli di Abramo, ma il cuore indurito non permette di convertirsi e il seme della Parola nuova non può attecchire.

L’indurimento del cuore: nella Bibbia si rivela come il male più grave, perché non consente di cogliere la verità di se stessi, cioè la povertà che ha bisogno dell’energia della Parola, l’unica capace di convertire dall’idolatria di sé all’accoglienza dell’amore misericordioso del Padre.

“Perché a loro parli in parabole?” chiedono i discepoli a Gesù. La risposta non è accomodante: non possono capire. ‘Hanno occhi e non vedono, hanno orecchi e non odono’ dice Gesù citando Isaia.

Anche i discepoli hanno bisogno di spiegazioni, ma è diverso: loro vogliono stare nella sequela col cuore aperto alla novità che Gesù porta e che avrebbe fatto dire a Pietro ‘’…Tu solo hai parole di vita eterna’.

Veniamo ai quattro tipi di terreno si cui il seme cade:

  • La strada: è la baraonda della vita con i suoi mille messaggi mondani. Neanche c’è la possibilità di ascoltare se non si cerca un angolo di silenzio.
  • Le pietre: sono dure, aspre, aride. Non c’è l’humus morbido che accolga e custodisca il seme e gli dia la gioia di germogliare. E’ la chiusura del cuore disilluso, è l’acedia del grigiore quotidiano è il ‘ma chi me lo fa fare?’, è la non voglia per un impegno esigente, sì, ma, che riempie la vita.
  • I rovi: sono l’eccesso di preoccupazioni di chi non pensa alla presenza del Padre provvidente e si dà da fare per accumulare ritenendo che quello sia il senso della sua vita. E la Parola è soffocata.
  • Il terreno buono: è il cuore docile, che comprende e accoglie perché libero e la Parola vi può germinare e portare frutto, non importa quanto.

Riconosciamo umilmente che anche noi siamo stati e siamo tentati di essere uno dei primi tre terreni infruttuosi. Abbiamo più volte sperimentato che non è questa la via della felicità, eppure siamo spesso tentati di dare ascolto al dolce canto delle sirene anziché alla parola esigente di Gesù che non blandisce, ma che orienta a traguardi di vera felicità.

Noi siamo mandati ad annunciare Lui e dobbiamo ricordare che, come è stato detto, la Chiesa dell’ascolto deve precedere la Chiesa dell’annuncio.

Ci riempie di fiducia la Parola di oggi: dopo la citazione dura di Isaia, Gesù si rivolge ai discepoli chiamandoli BEATI perché i loro occhi e i loro orecchi vedono e sentono quello che di incomparabile Gesù loro dona, perché, nonostante la debolezza e la fragilità umana che avrebbero poi mostrato di fronte alla croce, il loro cuore non è indurito.

Chi apre il cuore è Lui e ogni palpito di bene ci viene da Lui.

Leggiamo allora e rallegriamoci nella meditazione del passo ben noto di Ezechiele (36, 26-27):

 Vi aspergerò con acqua pura e sarete purificati […],
Toglierò da voi il cuore di pietra e vi darò un cuore di carne […].
Voi sarete il mio popolo e io sarò il vostro Dio”.