2^ domenica dopo l’Epifania

2^ domenica dopo l’Epifania

19 gennaio 2020 – Anno A

 

 

Vangelo di Giovanni 1, 29-34

 

Commento di suor Cristina Merli, FMA

 

Mi sono sempre chiesta come mai, per il suo primo miracolo, Gesù abbia accettato di porre un segno apparentemente secondario rispetto a guarigioni, liberazioni di indemoniati, uscita da sepolcri.

 

Ho trovato risposte teologiche di grande illuminazione.

 

Qui, però, vorrei prendermi la licenza di partire dalle nozze di Cana per operare una piccola deviazione, magari non proprio ortodossa, rispetto al Vangelo proposto questa domenica: voglio guardare “le piccole gioie della vita” che anche Gesù ha gustato. Come un bicchiere di vino buono, un pasto saporito, il sole che se ne va con la promessa sempre mantenuta del suo ritorno, lo sguardo dell’amico, il caldo del camino, un frutto dell’orto che matura sotto i nostri occhi.

 

Fermarsi e assaporare questi momenti, a volte, ci fa provare la triste impressione di “perdere tempo”. Allora riprendiamo a correre, a lavorare, ad affannarci per silenziare i sensi di colpa. Ed è una sensazione triste perché, se ci allontaniamo da lì, ci allontaniamo dalle cose belle, buone e vere che Dio ci ha dato per farci più felici.

 

Nel medioevo, epoca da sempre considerata “buia”, dove per arrivare alla perfezione dovevi disprezzare le cose del mondo, campeggia un gigante delle “piccole gioie della vita”: Francesco d’Assisi.

Il Cantico di Frate Sole ne è l’emblema, ma ci sono episodi della vita di Francesco che stupiscono per la sua capacità di godere di tutto ciò che parla di Dio.

Ottobre 1226. Francesco sa che ha ancora poco da vivere e fa scrivere una lettera ad una sua amica.

“A donna Jacopa, serva dell’Altissimo, frate Francesco poverello di Cristo, augura salute nel Signore e la comunione dello Spirito Santo. Sappi, carissima, che Cristo benedetto, per sua grazia, mi ha rivelato che la fine della mia vita è ormai prossima. Perciò, se vuoi trovarmi vivo, vista questa lettera, affrettati a venire a Santa Maria degli Angeli, poiché se non verrai prima di tale giorno, non mi potrai trovare vivo. E porta con te un panno di cilicio in cui tu possa avvolgere il mio corpo e la cera per la sepoltura. Ti prego ancora di portarmi di quei dolci, che eri solita darmi quando mi trovavo ammalato a Roma.”

(lettera a donna Giacomina – 253-254-255)

Prima di morire, Francesco chiede di poter gustare ancora quei dolci, i mostaccioli, fatti di mandorle e miele, che solo donna Jacopa sapeva confezionare così buoni.

Peccato di gola? No, in fin di vita non chiedi qualcosa di banale, tanto più se sei San Francesco, ma chiedi qualcosa che ti permetta di avvicinarti a Dio. E l’uomo di Assisi lo fa con dei biscotti, perché per lui tutte le cose create sono emanazione diretta del Suo amore, per questo in esse bisogna immergersi, di esse gioire, da esse lasciarsi pervadere.

Mi piace leggere Montale e pensare che le “piccole gioie della vita” siano per tutti, gratis, regalate da Dio anche al poeta che non riesce ad andare oltre il segno, che non riesce a vedere Colui che esse indicano.

[…]
La pioggia stanca la terra, di poi; s’affolta
il tedio dell’inverno sulle case,
la luce si fa avara – amara l’anima.
Quando un giorno da un malchiuso portone
tra gli alberi di una corte
ci si mostrano i gialli dei limoni;
e il gelo dei cuore si sfa,
e in petto ci scrosciano
le loro canzoni
le trombe d’oro della solarità.

Eugenio Montale, I limoni

 

Splendido questo suo prestare “attenzione” alla realtà, questa sua attitudine a volgere l’animo e la mente agli oggetti che gli si fanno incontro. E tenace e onesta la sua ricerca dell’Oltre che i limoni portano in sé e che lui non riesce a vedere.

 

Ci insegna l’attenzione, Montale. E oggi ne abbiamo un grande bisogno, perché la distrazione può rubarci le “piccole gioie della vita” e fare in modo che esse ci attraversino senza che riusciamo a sentirne il sapore. E le cose “sanno di Dio”.

 

E allora, come dice Franco Arminio:

Abbiamo bisogno di contadini,
di poeti, gente che sa fare il pane,
che ama gli alberi e riconosce il vento.
Più che l’anno della crescita,
ci vorrebbe l’anno dell’attenzione.
Attenzione a chi cade, al sole che nasce
e che muore, ai ragazzi che crescono,
attenzione anche a un semplice lampione,
a un muro scrostato.
Oggi essere rivoluzionari significa togliere
più che aggiungere, rallentare più che accelerare,
significa dare valore al silenzio, alla luce,
alla fragilità, alla dolcezza.

 

Che sia l’anno dell’attenzione.

 

Riusciremo così non solo a sentire il sapore del vino eccellente di Cana, ma anche a riconoscere in esso il segno che ci indica che il Dio di Gesù è il Dio della gioia, quella gioia che Lo disvela anche nelle piccole cose.