La vera start up è credere nei giovani

Vero o falso?

Tra le notizie italiane dei giorni scorsi ha girato il web e le trasmissioni televisive di approfondimento quella dell’alta percentuale di giovani che non hanno accettato di lavorare per l’EXPO nonostante un “normale” stipendio, certamente utile in tempo di crisi e di disoccupazione.

Scavando meglio per cercare, se non la verità almeno l’obiettività, il quadro che emerge è diverso:
sì, molti hanno rifiutato ma qual era la proposta lavorativa?
A sentire i giovani che ci hanno provato ed hanno detto “no”, pare che lo stipendio fosse molto più basso delle 1300 euro lorde nella maggior parte dei casi, senza rimborsi per alloggio, vitto, spostamenti, né contributi pensionistici.

Insomma, diciamola giusta, cosa dovrebbe fare più notizia?
Il rifiuto dei giovani o la misera proposta fatta come se, trattandosi di persone in cerca di lavoro, si possa offrire qualunque cosa tanto ne hanno bisogno e, se non accettano, li tacciamo per fannulloni? Puntare sui giovani e sulle loro potenzialità è tutta un’altra storia!

Ci vuole chi ci crede veramente, chi vi si dedica costantemente, chi lavora giornalmente fianco a fianco con loro non per controllo ma per continuare ad imparare. Ci vogliono pure proposte chiare anzi trasparenti, non promesse vacue da politici in campagna elettorale.

A proposito, qualche giorno fa sono stato invitato dal prof. Rosario Faraci, docente di Economia e Gestione delle Imprese dell’Università di Catania, a partecipare alla cerimonia conclusiva del Contest Day d’ateneo “Start Up Your Business – Un Vulcano di Idee”; con piacere ho visto una sala piena di giovani universitari e tra loro 13 gruppi che hanno lavorato nelle settimane precedenti e gareggiato con un’idea/progetto per accedere alla fase regionale.

È stato significativo che la cura dell’evento sia stata affidata dal professore ad una commissione di giovani che hanno riservato delle belle sorprese all’uditorio, come una specie di rito iniziale, del tutto informale, da inizio gara di rugby o da attività estiva dell’oratorio, tra battiti di mani e corsa sul posto, per ricordare a tutti che bisogna prepararsi, impegnarsi, affrontare gli ostacoli, essere costanti.
I team in gara hanno fatto del loro meglio, ci hanno messo cuore, mente, competenze, fantasia, creatività, al di là del risultato.
Chi li ha promossi, sostenuti, organizzati, seguiti, ha creduto in loro anche nell’ottica di “un’università capovolta”, non nel senso di un contesto di studio in cui non c’è niente che vada nel verso giusto – come si potrebbe pensare -, bensì in quello di un coinvolgimento dal basso e del protagonismo giovanile tenendo conto delle potenzialità di ciascuno nonché della forza del lavorare in gruppo.

A questi giovani dell’ateneo catanese non è stato offerto un lavoro, è vero, ma è stata data l’opportunità di coltivare un sogno e costruire un progetto, mettendolo in un circuito di finanziatori possibili.
Per qualcuno sarà poco, però è certamente di più di un’offerta mal pagata travestita da lavoro.

Alla fine dell’iniziativa diversi giovani hanno ringraziato per l’apertura alla speranza che gli è stata donata ed è un dono che si moltiplica se raccontato.

Marco Pappalardo

 

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