“Amoris Laetitia” – 1°

da | 12 Apr 2016 | La buona parola

Il matrimonio, sacramento della “naturalità dell’Amore”

Uomo e donna, missionari e icone della relazione trinitaria

“La gioia dell’amore che si vive nelle famiglie è anche il giubilo della Chiesa”: così inizia l’esortazione apostolica “Amoris laetitia”, scritta da Papa Francesco a conclusione del percorso sinodale iniziato nel 2014, incentrato sulla meditazione del sacramento del matrimonio.

È sotto gli occhi di tutti la grave crisi che vive la famiglia nel nostro tempo: nuovi modelli di regolamentazione dei rapporti, espressioni di egoismi, separazioni, disgregazioni, confusione, sono la cifra del nostro secolo liquido, privo di stabilità. La comunità cristiana ha il compito di illuminare tali situazioni, avendo come fine ultimo la salvezza delle anime e la custodia del deposito della fede.

Anzi, la Chiesa non solo si propone di difendere quanto attiene alla Rivelazione, ma, consapevole della progressiva autodistruzione dell’uomo, richiama alla salvaguardia dell’ordine naturale.

Si ripropone oggi, come alle origini, il mistero del male, del peccato e della morte: Adamo ed Eva, chiamati a manifestare nell’ordine cosmico l’Amore trascendente di Dio scambiano la propria vocazione con la superbia di divenire divinità.
Dalla colpa deriva la distruzione: le relazioni di dono che contraddistinguono la persona si tramutano in rapporti di forza, di sopraffazione, di insoddisfazione (AL, 19-22); si ricercano surrogati di bene, si assolutizza il piacere come istinto di sopravvivenza e alienazione. Il piano di Dio che aveva posto la donna come compagna per l’uomo, come parte della sua esistenza, come antidoto alla solitudine, è rovesciato.
Lo notiamo costantemente: in ogni rapporto si cerca il proprio tornaconto e si crede che il detto latino “mors tua vita mea” sia naturale. Questa è la realtà imbruttita dal peccato e non illuminata dalla benedizione di Dio; dove è assente l’orizzonte del Signore, regna la maledizione diabolica.

“Per la durezza del vostro cuore Mosè vi ha permesso di ripudiare le vostre mogli, ma da principio non fu così” (Mt 19,8).

Gesù, rispondendo ai farisei della fazione “progressista”, afferma che vi è un principio, che l’unione coniugale non è modificabile dall’uomo, ma è proiettata nella benedizione e nella relazione con Dio.

La Chiesa ha sempre insegnato che il fondamento del Matrimonio è naturale, prima che sovrannaturale: difatti, il patto di comunione di vita tra i coniugi si costituisce nell’ordine della creazione e viene elevato (e non annullato) dalla Grazia sacramentale (AL 75).
Come la Trinità si è resa visibile prima nella natura e poi con la Rivelazione, così la famiglia è icona di Dio in forza di quell’unione santa dei coniugi in una carne sola.
Nel capitolo primo dell’Esortazione, Papa Francesco mostra come il legame tra uomo e donna sia espresso con la medesima parola utilizzata dall’orante nel Salmo 63: “A te (Signore) si stringe l’anima mia”: come l’umanità è chiamata all’unità con Dio, così la famiglia si fonda sull’unità tra marito e moglie.

Solo in tal modo si raggiunge il fine del pieno e fecondo dono di sé. Il cosiddetto fine procreativo non è superiore a quello unitivo; è un errore credere che l’affetto tra marito e moglie sia meno importante della cooperazione al progetto divino di donare la vita; il Signore è creatore, ma anche relazione d’Amore nella Trinità.

Come non si possono dividere questi attributi divini, così il segno sacramentale della famiglia non può prevedere la separazione tra bene dei coniugi e procreazione. Quando, dunque, si afferma che la Chiesa è “sessuofoba”, nemica del piacere o legata a schemi di mortificazione dell’amore, si compie un errore di fondo: credere che l’affetto coniugale sia un semplice incontro-scontro tra persone, una somma di volontà diverse e non la realizzazione del dono supremo di sé.

Nella passione, anche sessuale, che il Cantico dei Cantici celebra in maniera splendida – senza mortificarla nell’attuale morboso erotismo – si compie la gratuità dell’unione che coinvolge non solo l’aspetto psicologico, razionale, volontario ma anche quello fisico ed emotivo.
I due sono realmente uniti in una sola carne, un cuor solo e un’anima sola.

L’importanza del gesto è tanto radicale che non è possibile in alcun modo mortificarla o ridurla ad un attimo passeggero, quasi fosse una fonte di piacere animalesco. Nell’atto coniugale è contenuto, infatti, il segno più grande della possibilità di vincere la morte e la solitudine. È urgente, pertanto, tornare a Cana, a quel primo segno compiuto da Cristo, per attingere al vino della Resurrezione e della Riconciliazione e per rinnovare sempre l’unione originaria al Signore che “dà la benedizione e la vita per sempre” (Sal 133,3 e AL 64).

Andrea Miccichè