“L’inferno” e la scuola

A scuola: fuori dall’inferno e per un pezzo di Paradiso

«L’inferno dei viventi non è qualcosa che sarà; se ce n’è uno, è quello che è già qui, l’inferno che abitiamo tutti i giorni, che formiamo stando insieme.

Due modi ci sono per non soffrirne.
Il primo riesce facile a molti: accettare l’inferno e diventarne parte fino al punto di non vederlo più.
Il secondo è rischioso ed esige attenzione e apprendimento continui: cercare e saper riconoscere chi e cosa, in mezzo all’inferno, non è inferno, e farlo durare, e dargli spazio».

Con queste parole di Italo Calvino, tratte da “Le città invisibili”, ha avuto inizio alcuni giorni fa un incontro di formazione per docenti tenuto da Padre Gianni Notari, padre gesuita e professore universitario.

Ma cosa ha a che fare “l’inferno” con la scuola?

Una domanda lecita per i presenti e per chi legge, ma con il rischio di scadere nell’ovvia risposta di una scuola italiana mal funzionante, con strutture antiquate, con programmi vecchi, con studenti impossibili, con insegnanti precari e destinati ad un futuro fuori sede! La prospettiva, invece, va rivoltata subito, proprio per uscire dalla logica del “così fan tutti”, da quella del “mercenario” pronto a svendersi e a svendere la propria missione per accaparrare ciò che è possibile prendere, magari alle spalle degli altri.

La risposta vera sta nell’uscire dagli schemi e dare qualità alla propria professione, consapevoli che ci sono tante situazioni che non sono “inferno” nella scuola, per essere segnale di vita e di speranza.

Solo così, chiedendosi sinceramente allo specchio se la propria esperienza è di qualità, possiamo offrire il contributo necessario perché, attraverso la scuola, la società si rinnovi.

Sì, perché la scuola – in una prospettiva altra – può diventare un segnale forte che fugga l’addomesticamento di chi, con i soldi e qualche concessione, chiede il silenzio; può proporre la dimensione dell’accoglienza e della gratuità quali luci per illuminare un tempo che ha perso il senso della realtà. La nostra professione è fondata sulla parola e sull’esempio, soprattutto sull’equilibrio, la costanza, la coerenza di entrambi gli elementi; “professiamo”, dunque “narriamo” prospettive nuove a studenti di oggi che domani dovranno trasformare la società in “ciò che inferno non è”. Con forza Padre Notari ha sostenuto che l’azione dei docenti è “generatrice di futuro” nel momento in cui, attraverso le discipline e la passione per lo studio, invita le nuove generazioni ad amare la vita in pienezza. Da educatori, non solo insegnanti dunque, ci viene chiesto qualcosa in più; non ore da aggiungere alla settimana, né vacanze estive da accorciare, bensì la capacità di raccordare, in mezzo alle fatiche quotidiane e alle fragilità, la parte migliore di noi stessi con la ricerca di un “di più” che tiri fuori dall'”inferno” e dia spazio a ciò che non lo è: uno spazio per tutti, non solo per i migliori; uno spazio gli ultimi, non solo per i primi; uno spazio per chi è minoranza, non solo per chi è privilegiato; uno spazio che sappia di Paradiso!

Marco Pappalardo – da www.vinonuovo.it