L’ufficiale e la spia

da | 9 Dic 2019 | Film

L’ufficiale e la spia

da | 9 Dic 2019 | Film

di Beppe Musicco per Sentieri del Cinema

Il 5 gennaio 1895 il giovane capitano dell’esercito francese Alfred Dreyfus viene degradato con l’accusa di avere passato segreti militari alla Germania e condannato alla detenzione a vita nell’Isola del Diavolo, nella Guyana francese.

L’ufficiale e la spia è il titolo italiano dell’originale francese J’accuse, che è il titolo dell’articolo a tutta pagina del quotidiano L’Aurore col quale lo scrittore Émile Zola si scagliò contro la società benpensante e antisemita del tempo.

Tratto dal libro di Robert Harris che espone con grande accuratezza i fatti, il film di Roman Polanski è stato presentato alla Mostra del Cinema di Venezia 2019, dove ha vinto il Gran Premio della Giuria – Leone d’Argento e il Premio della Federazione Internazionale della Stampa Cinematografica (Fipresci).

Il caso Dreyfus, nonostante siano passati più di cent’anni, è ancora una delle pagine più scandalose della giustizia di un paese democratico come la Francia. Menzogne, campagne di disinformazione, diffamazioni rimangono ancora come segni di infamia e sono tutt’oggi oggetti di studio. Se Alfred Dreyfus (Louis Garrel) è la vittima innocente del film, il vero protagonista dell’opera di Polanski è il capitano Georges Picquart (Jean Dujardin) che, dopo aver contribuito alla condanna del giovane ufficiale, viene promosso a un nuovo ruolo come capo del servizio segreto militare. Da questa posizione ha l’occasione per seguire nuovi sospetti e nuove piste, una delle quali sembra portare alla scoperta dell’innocenza di Dreyfus. Da qual momento Picquart, tormentato dal dubbio, si getta anima e corpo per arrivare a scoprire la verità, noncurante anche dei rischi per la sua carriera e per la sua stessa incolumità.

Polanski, a 86 anni, sfodera ancora il talento del grande maestro, immediatamente visibile nella cura con la quale il film è stato realizzato: la ricostruzione degli ambienti e dell’atmosfera del tempo fin nei minimi dettagli, i costumi, le scenografie; tutto è impressionante. La fotografia rende perfettamente l’assenza di luce elettrica, e conseguentemente l’angustia di certi luoghi, la penombra data dalle candele o dalle lampade a gas; l’approssimazione, ammantata di scientificità, con la quale venivano condotte indagini basate in gran parte sul pregiudizio.

Un pregiudizio che era già una condanna per chi era sempre sospettato di appartenere alla fantomatica “Internazionale ebraica” il cui scopo era l’arricchimento a dispetto delle nazioni di nascita. In un tempo di “fake news” e di un’informazione drogata, il film di Polanski ha il merito di riportare l’attenzione su temi come la coscienza, il dovere di cercare la verità, il rispetto per la persona, contro la scontatezza, l’indifferenza o il sospetto nei confronti di chi non appartiene alla stessa classe sociale, religione o altro. Polanski dirige magnificamente un cast di grande talento, a partire da Jean Dujardin nei panni di Picquart, e poi Garrel, Emmanuelle Seigner nei panni dell’amante di Picquart, e tutta una serie di attori, molti dei quali provenienti dalla Comédie Française (ma c’è anche l’italiano Luca Barbareschi, anche coproduttore dell’opera).

Fermo nella sua fiducia nell’esercito, antisemita, felice dell’umiliazione inflitta a Dreyfus, Picquart è tuttavia un uomo che crede nell’onore, soprattutto che non tollera che la verità venga sacrificata sull’altare dell’immagine dei militari. Condotto sempre con grande tensione, quasi come un thriller alla Hitchcock, L’ufficiale e la spia quando si sofferma sugli alti gradi dell’esercito francese ricorda anche molto Orizzonti di gloria di Stanley Kubrick, nel dipingere la supponenza e la vanagloria dei generali o l’ottusità degli ufficiali per i quali un ordine va eseguito senza mai farsi domande. Ebreo come il protagonista del film, costantemente sotto inchiesta (e si veda anche il marchio ricevuto dalla presidente della giuria di Venezia a inizio Mostra: e meno male che questo non ha impedito di assegnargli un meritato premio), Polanski ci dà ancora una volta una grande lezione di cinema, e nuovi (o vecchi) temi sui quali sarebbe bene soffermarsi ancora.