Fiore di roccia

da | 21 Nov 2022 | Libri

Ilaria Tuti,
LONGANESI 2020

“Anin, senò chei biadaz ai murin encje di fan”
“Andiamo, altrimenti quei poveretti muoiono anche di fame”

 

I poveretti ai quali questa frase si riferisce sono i soldati che stanno morendo in massa al fronte durante la I guerra mondiale, la Grande Guerra, e questo è tanto e tristemente noto… meno nota ai più, fuori dal Friuli e dalla Carnia, è colei che pronunciò questa frase: Maria Plozner Mentil, prima donna, non militare, tra le tante figure femminili eroiche di quel terribile evento, a ricevere la Medaglia d’oro al Valor Militare, postuma, dal Presidente della Repubblica Oscar Luigi Scalfaro nel 1997.

Questo bellissimo romanzo cerca di mettere riparo ad un altro, tra i tanti esempi di dimenticanza relativi al ruolo significativo avuto dalle donne nella Storia; un altro, a guardar bene, di tanti, presenti quasi in ogni epoca.

Ilaria Tuti riporta in questo libro alcuni episodi realmente accaduti, si lascia ispirare da persone realmente esistite e le trasforma sapientemente e delicatamente in personaggi; il Capitano Andrea Colman, uno dei protagonisti, è un personaggio ispirato alla Tuti da due eroi reali: il Capitano Mario Musso e il Capitano Riccardo Noel Winderling; don Nereo, il parroco che durante l’omelia si rivolge, quasi con vergogna, consapevole del sacrificio che sta chiedendo, alle donne, per chiedere loro di farsi Portatrici, è stato ispirato dal prete che ai tempi ebbe questo ruolo: don Floreano Dorotea.

 

L’autrice mette insieme gli eventi occorsi in due anni nell’area del fronte della Carnia, intorno al Pal Piccolo, li condensa in sei mesi nella sua narrazione romanzata; di fatto non è tanto la storia di quegli eventi ad essere protagonista quanto, evidentemente, la storia di queste eroiche figure femminili.

Attraverso il riferimento ai luoghi: Paluzza, Cleulis, Timau, la cima del Monte Coglians, il Freikofel… ci sembra quasi di vedere DAR TROGARINNER, Le Portatrici, arrampicarsi su per le montagne, con gerle pesantissime sulle spalle nelle quali recano vettovaglie, abiti, munizioni, esplosivi e… speranza, sotto forma di lettere che giungono dalla loro casa lontana fino ai soldati in attesa di notizie.

Nel libro si chiamano Lucia, Viola, Caterina, Maria, e tra loro la protagonista, la più decisa e forte, Agata, la cui storia è ispirata e dedicata proprio a Maria Plozner Mentil.

Donne semplici, umili, appena scolarizzate, contadine, mogli di soldati, madri, alcune neanche sposate… hanno messo la loro esperienza in montagna al servizio della necessità, la loro forza emotiva e fisica al servizio degli uomini, della Patria, con sprezzo del pericolo, nonostante la paura e pienamente consapevoli dei rischi.

Donne che non sanno fare la guerra e non hanno titolo di studio per capirla, MA RISCHIANO LA VITA E AFFRONTANO LA FATICA, come l’autrice fa dire ad una di loro “siamo abituate ad essere definite attraverso il bisogno di qualcun altro”.

Donne che prima della guerra già vivevano con poco, nel libro indicate come dalle “spalle larghe per la FATICA, mani ruvide per il LAVORO nei campi, abiti usi per la MISERIA” le quali, durante questi anni terribili, riescono a vivere e sfamare chi da loro dipende, sfamare gli altri anche non avendo niente.

 

Agata che nella sua semplicità si chiederà quale senso abbia tutta la follia della guerra, povera com’è, e con la morte nel cuore per un dolore grande che le ha tolto un eroico amico, riuscirà a provare pietà e tenerezza anche per il nemico, soccorso e sfamato, a rischio di essere fucilata per tradimento.

Il fronte della Carnia non ha mai ceduto, nonostante ordini anche discutibili, decisioni prese dai vertici militari, anche poco esperti e tanto arroganti, non solo in quelle zone, quella più tristemente nota fu Caporetto, nella quale chi sbagliò osò persino oltraggiare i soldati che aveva mandato all’inutile massacro… e certo un ruolo non secondario lo ebbero quelle donne tanto decise e coraggiose che sfidarono i DIAVOLI BIANCHI, i cecchini austriaci in tuta mimetica nascosti sulle rocce innevate e pronti a sparare anche a loro. Maria morì proprio in questo modo, colpita da un cecchino, presso Casera Malpasso, era partita in ritardo dopo aver dato il latte al suo bambino più piccolo…

“Nell’inverno della vita, sacra è la presenza di chi si prende cura della dignità umana”; questa frase dell’autrice è riferita alla protagonista, Agata, la quale si occupa del padre anziano e acciaccato, ma a me è rimasta impressa in riferimento al ruolo delle Portatrici ed al loro compito verso i soldati: erano portatrici di cibo, indispensabile, che non sarebbe arrivato in altro modo; erano portatrici di munizioni per resistere e frenare l’avanzata nemica; erano portatrici di speranza, affinché gli uomini non perdessero la forza e la motivazione… eppure dopo la guerra, non avendo un ruolo ufficiale, non ottennero alcun riconoscimento, e neanche i libri di Storia, ancora oggi, rendono loro giustizia.

 

Agata torna dopo tanti anni nella sua terra, nel 1976, quando il maledetto Orcolat stravolgerà ancora la quiete di quelle zone, come aveva fatto a suo tempo la Grande Guerra; Agata tornerà perché sentirà ancora una volta la responsabilità di essere utile, il dovere di dare una mano, il bisogno di affondare le rughe delle mani nelle rughe che il terremoto ha creato nella terra.

Questo libro presenta con dolcezza la dura storia di quei fiori che spuntano in montagna, all’apparenza delicati, ma capaci di resistere, presentarsi in quota, portare emozione e commozione, restando ben saldi sulla roccia.

 

Angela Maiale