Chi cerca la verità cerca Dio

Edith Stein: chi cerca la verità cerca Dio, che lo sappia o no.

Addentrandosi nella fase storica compresa fra la repubblica di Weimar e l’avvento del nazismo al potere in Germania, si dispiega la figura della religiosa e filosofa tedesca Edith Stein.
Secondo l’esempio di santa Teresa d’Avila, Madre fondatrice dell’ordine carmelitano scalzo, ella scelse di edificare il proprio castello interiore, nel quale le fondamenta sono date dall’infanzia in seno all’ebraismo, le pareti dalla riflessione filosofico-teologica difesa dagli attacchi del relativismo ma arricchita da oculate osservazioni e le sale più interne dalla profondità della sua persona spirituale.
Ella percorse i corridoi del castello addentrandosi sino al luogo più intimo, dove dimora il Re. La fortezza si eleva su di un’altura ideale, che permette a Edith Stein di considerare gli avvenimenti del proprio itinerario terreno secondo una prospettiva che arriverà a delinearsi come Scientia Crucis.

EDITH STEIN

Il 12 ottobre 1891, in seno a una famiglia ebraica osservante, viene al mondo Edith Stein. Il luogo di nascita è Breslavia (Breslau), attuale Wroclaw, fiorente cittadina della piana della Slesia, ora in territorio polacco; la piccola è l’undicesima figlia di Siegfried Stein e Augusta Courant, settima se si considera che quattro fratelli muoiono in tenera età. Ricorre in quella data, secondo il computo del calendario ebraico, la solenne ricorrenza dello Yom Kippur, “giorno dell’Espiazione”, in cui il capro espiatorio viene caricato dei peccati del popolo e spinto nel deserto. Questa coincidenza assume agli occhi della madre un segno di predilezione da parte di Dio e la induce a manifestare per l’ultima nata un particolare attaccamento.

Poco prima che la piccola compia due anni il padre, commerciante di legname, viene improvvisamente a mancare; la madre diventa, così, il perno del numeroso nucleo famigliare e, oltre ai doveri materni ai quali mai si sottrae, si fa carico degli affari imprenditoriali del defunto marito. Augusta è testimone autorevole di gratuità e di profondissima fede, nella sua vita quotidiana ella s’ispira ai precetti biblici e si presenta fedele al suo Dio e alla tradizione ebraica, irreprensibile nei costumi e caritatevole verso i poveri; è proprio quest’atteggiamento materno che, indirettamente, riconduce la Stein, dopo un lungo periodo di crisi religiosa, all’incontro con il Divino, sebbene non in seno all’ebraismo. Edith è una bambina precoce, intuitiva, dal carattere affettuoso, si dimostra da subito particolarmente versata negli studi e nel lavoro speculativo e nutre un’insaziabile sete di sapere, trovandosi così a interrogare incessantemente i fratelli maggiori e a spiccare nella scuola.

All’età di circa tredici anni, l’adolescente si dichiara atea: non crede all’esistenza di Dio e rimane indifferente circa i problemi religiosi. Scriverà: In piena coscienza e di libera scelta smisi di pregare e abbandonò la fede per affermarsi come un essere autonomo. Dopo qualche anno arriverà a dichiararsi agnostica: Mi sento incapace di credere all’esistenza di Dio. Manifesta anche la decisione di interrompere gli studi, ma poco dopo avverte la mancanza dell’impegno intellettuale; prende quindi lezioni private per recuperare l’anno perso e comincia a maturare in lei il desiderio di diventare insegnante, come la sorella maggiore Else.

Nella primavera del 1908 Edith s’iscrive al liceo scientifico della sua città, il Viktoriaschule, ma un certo scontento interiore rimane, indistinto, per ripresentarsi di lì a non molti anni. La studentessa Stein ama la vita mondana, al contempo è anche riflessiva e riservata e alberga nel suo intimo un’inquietudine che non riesce a confidare a nessuno.

Con il passare degli anni, la passione per le lettere si traduce in una ricerca espressamente antropologica. Nel 1911 Edith s’iscrive all’università di Breslavia, dove studia storia e letteratura tedesca, psicologia sperimentale e filosofia. Prende parte alla vita universitaria, incontra il pensiero liberale, il femminismo e impartisce lezioni private. La questione della religiosità, tuttavia, rimane in sospeso: frequenta la sinagoga solo per non dare un dispiacere alla madre e avverte il Dio d’Israele come lontano dal suo modo di esperire il divino.

A Breslavia avviene per la giovane Edith il primo contatto con la teoria fenomenologica, attraverso la lettura delle Ricerche logiche di Edmund Husserl, che promettono una conoscenza oggettiva partendo dal fenomeno esterno, sino a giungere, tramite l’osservazione dei suoi vari aspetti, a delle certezze verificate. La psicologia sperimentale, però, delude la Stein, giacché si tratta di una disciplina ancora priva di strumenti d’indagine validi; per tale ragione, nel 1913 s’iscrive all’università di Gottinga, dove insegna Husserl stesso, riconoscendo nella fenomenologia la modalità di pensiero più autentica; questa si qualifica come scienza rigorosa, in grado di corrispondere alle esigenze teoretiche del pensiero e si propone di soddisfare la domanda sul senso dell’esistere che, con chiarezza sempre maggiore, per la studiosa si rivela fondato nella stessa natura umana.

La tensione sincera verso la verità, che la Stein incontra frequentando i membri del Circolo di Gottinga, la riporta inaspettatamente al problema religioso: questo accade attraverso le tante conoscenze, in ambito universitario, che ritrovano la fede per il tramite della fenomenologia; fra queste vi sono Dietrich von Hildebrand, Siegfried Hamburger, Max Scheler, i coniugi Adolf e Anne Reinach, Theodor Conrad e la cara amica Hedwig Martius. L’atteggiamento fenomenologico, tramite l’epochè, favorisce una duttilità mentale e culturale propizia ai cambiamenti più radicali, che, in taluni casi, può condurre sino alla conversione.
La fede diviene ora per lei una realtà degna di considerazione, per il fatto che queste persone, da lei sommamente stimate, la sperimentano nel quotidiano. Edith si chiede, allora, se non sia possibile anche per lei affrontare la questione alla luce dell’intelletto, la sola di cui si fida in questa fase della sua vita. Accoglie così, senza opporre resistenza, tutti gli stimoli che le provengono dall’ambiente che frequenta e ne viene gradualmente trasformata.

Un tragico evento interrompe bruscamente il sereno percorso di formazione della giovane filosofa: lo scoppio del primo conflitto mondiale la inquieta e la interpella circa il suo progetto di vita. Molti compagni di studi partono per il fronte e alcuni non vi fanno più ritorno. La stessa Edith non si sottrae a quello che considera un dovere nei confronti della patria in questo frangente, prestando servizio come crocerossina nel reparto di malattie infettive dell’ospedale militare di Mährisch-Weisskirchen, sul fronte austriaco, dove rimane per circa sei mesi, e al termine riceve la Medaglia del Coraggio – Tapferkeitsmedaille – della Croce Rossa.

Il contatto diretto con la sofferenza e la morte la spinge a riflettere sulle implicazioni di ogni amore autentico e gratuito, il quale è sempre caratterizzato dal sacrificio. Lo stesso Adolf Reinach, assistente di Husserl e suo caro amico, cade in battaglia, mentre si trova sul fronte delle Ardenne. La moglie Anne, conoscendo le capacità intellettuali di Edith, la prega di ordinare gli scritti del marito. Dopo un’iniziale ritrosia verso la coppia da poco convertita alla fede evangelica, Edith accetta l’invito, sperando di trovare le parole adeguate per confortare la giovane vedova. Al contrario di quanto previsto, si trova dinanzi un volto che diffonde pace, seppur segnato dal dolore per la dolorosa perdita. Edith ne rimane internamente scossa; nessun fenomeno e nessuna capacità umana riescono a dare ragione dell’atteggiamento di fiduciosa mestizia di Anne, che diventa dono per Edith, rischiarando l’intuizione della grazia che emana dalla fede cristiana. La donna vive compostamente il proprio lutto, nella comunione con Cristo.

La Stein appunterà poi: questo è stato il mio primo incontro con la croce e con la forza divina che trasmette ai suoi portatori (…). Fu il momento in cui la mia irreligiosità crollò e Cristo rifulse. E ancora: Ciò che non era nei miei piani era nei piani di Dio. In me prende vita la profonda convinzione che -visto dal lato di Dio- non esiste il caso; tutta la mia vita, fino ai minimi particolari, è già tracciata nei piani della provvidenza divina e davanti agli occhi assolutamente veggenti di Dio presenta una correlazione perfettamente compiuta.

Una volta congedata dal suo servizio di crocerossina, Edith riprende gli studi e termina la stesura della sua tesi di dottorato, il cui argomento è stato suggerito da Husserl: il problema dell’Einfühlung nel suo sviluppo storico e nella riflessione fenomenologica. Edith si laurea summa cum laude il 3 agosto 1916, unica donna di tutta la Germania, quell’anno, a ottenere il Dottorato.

La studiosa aspira alla libera docenza; tuttavia ciò non si realizza, poiché la carriera accademica risulta essere ancora preclusa alle donne. Il Maestro ha comunque altri progetti per lei: le chiede di diventare sua assistente presso l’università di Friburgo, in Brisgovia, dove ha la possibilità di tenere dei seminari introduttivi alla fenomenologia di Husserl. L’impegno lavorativo, però, è presto abbandonato, a causa di una profonda insoddisfazione rispetto al tipo di lavoro a lei richiesto, limitato alla catalogazione degli scritti del filosofo. Nel febbraio del 1918, Edith Stein si dimette, quindi, dall’incarico di assistente, lasciando però aperta la possibilità di occupazioni intellettuali di altro genere.

I primi interrogativi rispetto al problema della fede sono già presenti durante la sua permanenza a Gottinga e ospite degli amici coniugi Conrad-Martius a Bergzabern, in una notte d’estate del 1921 Edith Stein legge l’autobiografia di Santa Teresa d’Avila: Senza scegliere, presi il primo libro che mi capitò sotto mano: era un grosso volume che portava il titolo “Vita di S. Teresa scritta da lei medesima”. Quando rinchiusi il libro mi dissi: questa è la verità.

L’assoluto diventa, così, il movente di una ricerca che non parte più dalle cose esterne, interpellate fenomenologicamente, ma dall’intimo del cuore toccato dalla grazia, tramite un’illuminazione soprannaturale che apre prima gli occhi del cuore (Ef 1, 17) e poi si diffonde nell’intelletto, perché partecipi del dono divino. Questo evento decide le sorti del cammino di riscoperta della fede, in quanto la verità si mostra, ora, assoluta, impegnativa e totale, al di là di ogni umana attesa.

Edith Stein riceve il battesimo il 1° gennaio del 1922 nel Palatinato di Bergzabern. Questo primo passo segna l’inizio di un cammino già chiaro dentro di lei, che la porterà a varcare le porte del Carmelo. La studiosa, tuttavia, non riesce a coronare nell’immediato il suo desiderio, perché la sua conversione getta scompiglio tra i familiari; in aggiunta, all’interno della Chiesa si ritiene che una persona della statura intellettuale della dottoressa Stein possa essere molto più utile nel mondo che nel silenzio del chiostro. Ella non rinnega nulla della fede praticata da bambina, ma ne approfondisce tutte le valenze, rinnovando la propria appartenenza al popolo d’Israele. La vita del pio israelita consiste, infatti, nel cercare Dio con tutto il cuore e con tutta l’anima (Dt 4, 29), tramite un atteggiamento di ascolto bene espresso dallo Shemà, Israel (Dt 6, 4) biblico.

Gli anni compresi fra il 1919 e il 1933 rappresentano quindi un periodo di forte impegno sociale per Edith Stein, profuso prima nelle conferenze e nell’insegnamento, poi nella ricomposizione intellettuale, dalla fenomenologia alla Scolastica, nel segno di una raggiunta sintesi personale; qui prende avvio l’itinerario verso la Verità, sino alla donazione radicale di sé, che nella separazione dal mondo trova un punto di arrivo e di partenza allo stesso tempo.

Nella Pasqua del 1923 la studiosa accetta un posto da insegnante a Spira, presso l’Istituto Magistrale delle domenicane di Santa Maddalena e vi rimane sino alla Pasqua del 1931. Qui insegna lingua e letteratura tedesca e si occupa della formazione pedagogica delle insegnanti e delle suore. Il suo modo di servire gli altri, modesto e affabile in ogni aspetto del quotidiano, è indice dell’intensa preghiera e della grazia che la pervade.

In questi anni conosce il padre gesuita Erich Przywara, il quale la invita a tradurre in tedesco il Diario e le Lettere del cardinale John Henry Newman. A tale proposito, il religioso le suggerisce di trascorrere del tempo presso l’abbazia benedettina di Beuron, luogo in grado di assicurarle la tranquillità necessaria per il lavoro che deve intraprendere. Quest’attività è per lei un vero e proprio apostolato, specie nel clima di tensione politica e sociale che si va instaurando. Sempre su suggerimento di padre Przywara, la studiosa traduce in tedesco le Quaestiones disputatae de Veritate di Tommaso d’Aquino, pubblicate in due volumi nel 1931-1932.
La filosofa può così accedere al cuore del pensiero cristiano medievale, esaminandone le matrici e ricostruendone gli sviluppi secondo un processo fenomenologico, nel quale ritrova la sua lingua filosofica materna e un punto di partenza per il primo approccio alla Scolastica dell’Aquinate. La traduzione riceve l’apprezzamento del noto teologo Martin Grabman: egli, nella sua prefazione all’opera, loda le capacità linguistiche della studiosa, la quale sa conferire all’originale terminologia di Tommaso d’Aquino un abito linguistico moderno senza, tuttavia, tradire il significato originale dei contenuti.

L’incontro con il Doctor Angelicus le indica la possibilità di mettere la conoscenza al servizio di Dio; questo la conduce, nel 1929, a pubblicare negli Annali il saggio La fenomenologia di Husserl e la filosofia di San Tommaso. Tentativo di confronto, per ricercare alcune possibili relazioni tra i metodi d’indagine delle due filosofie.

Nel 1931 la Stein, su suggerimento di Padre Raphael Walzer, lascia Spira per avere più tempo da dedicare all’attività scientifica; l’anno seguente accetta una cattedra all’Istituto Tedesco di Pedagogia Scientifica Münster, in Westfalia. Continua qui il suo apostolato in un periodo in cui inizia a diffondersi la propaganda nazista, spronando le allieve a condurre una vita cattolica esemplare e promuovendo la dignità della persona come inalienabile.

La Stein si trova a leggere il Mein Kampf di Adolf Hitler, nel quale riconosce la progressiva affermazione di un pericoloso totalitarismo. Con lo scopo di contrapporre a questa propaganda una visione cristiana della società e dello Stato, Edith Stein invia una lettera al Santo Padre Pio XI; inoltre, chiede espressamente alle donne di entrare a far parte di una “resistenza”, per lo meno spirituale, all’ideologia che si sta diffondendo. Avverte con urgenza la necessità di rilanciare una profonda riflessione sull’Europa e sulla sua condizione spirituale e desidera prodigarsi per indirizzare la razionalità all’incontro, al riconoscimento e al rispetto dell’alterità.

Il 30 gennaio 1933 Hitler è nominato cancelliere del Reich; in aprile inizia la persecuzione contro gli ebrei, tramite il boicottaggio delle loro attività economiche e slogan minacciosi, e anche la professoressa Stein, sebbene prestigiosa docente di un istituto cattolico, viene invitata dalla direzione alla sospensione temporanea delle lezioni.

La studiosa, sfumate definitivamente le occasioni di servire la Chiesa nel mondo, vede realizzarsi la possibilità di entrare nell’Ordine Carmelitano e varcare la soglia del Carmelo di Colonia il 14 ottobre 1933, all’età di quarantadue anni.

Consapevole dello stato emotivo in cui lascia l’anziana madre e la maggior parte dei parenti, Edith riconosce l’entrata nell’Ordine come ulteriore passo verso l’offerta suprema. Sempre attenta a quanto accade all’esterno della clausura, confida alla superiora di volersi immolare come vittima d’espiazione per la dura prova che la Germania e il popolo ebraico stanno vivendo.

Il 15 aprile 1934, giorno della festa del Buon Pastore, Edith riceve l’abito delle carmelitane, assumendo il nome di Teresa Benedetta della Croce: sceglie di chiamarsi Teresa in onore di Santa Teresa d’Avila, sua maestra e modello di vita, Benedetta per ricordare i soggiorni all’Abbazia benedettina di Beuron -con questo gesto riconosce l’importanza dei due fondatori nel suo cammino di discernimento e predilige, a quello benedettino, l’istituto carmelitano, nel quale ritrova maggiormente la sua dimensione eremitica e cenobitica- e “della Croce”, a simboleggiare la sequela di Cristo sino al massimo supplizio.

I superiori chiedono a suor Teresa Benedetta di proseguire nell’impegno intellettuale, con le dovute limitazioni che impone la clausura, ritenendo che l’operato della filosofa possa avere grande rilevanza pedagogica, sia in ambito carmelitano, sia per la Chiesa Cattolica.
Negli orari di ricevimento discute con amici filosofi riguardo ai progressi del proprio lavoro, ora profondamente illuminato dalla Rivelazione. I frutti maturi di questa riflessione si trovano nell’incompiuta Scientia Crucis, nella quale spiega che la Croce di Cristo non è un dono che Dio riserva alla singola anima, ma che al contrario deve essere mezzo di corredenzione.

In questi anni la persecuzione nei confronti degli ebrei va intensificandosi e raggiunge anche chi protegge o intrattiene legami con loro. Dopo questi fatti sconvolgenti, suor Teresa Benedetta, ebrea per nascita, decide di cercare rifugio all’estero, per non mettere in pericolo le proprie consorelle. Nella notte di San Silvestro del 1938, un fedele amico del Carmelo la conduce oltre la frontiera olandese, sino al Carmelo di Echt. Nonostante il dolore per la separazione dalla sua prima famiglia religiosa, suor Teresa Benedetta accetta con serenità l’accaduto e presto si adegua al nuovo contesto.

Il primo settembre 1939 le truppe tedesche invadono la Polonia, dando così inizio al secondo conflitto mondiale. Nel maggio 1940 anche l’Olanda viene occupata. Già dall’inizio del 1942 appare chiaro che i tedeschi intendono attuare lo sterminio sistematico degli ebrei olandesi: Edith e la sorella Rosa -terziaria carmelitana- sono nuovamente un potenziale pericolo per la comunità che le ha accolte; per questo chiedono di essere trasferite in Svizzera o in Spagna. Le trattative con altri conventi carmelitani all’estero insospettiscono la Gestapo, che sottopone le due sorelle a estenuanti interrogatori.

Nel frattempo, i vescovi olandesi protestano con forza per contrastare le inique misure adottate contro gli ebrei e chiedono di risparmiare dalla persecuzione i cristiani di origine ebraica. L’accordo non si ottiene, e la fermezza dell’episcopato cattolico scatena, per ritorsione, l’ordine di arrestare tutti i religiosi non ariani. In questo periodo Suor Teresa Benedetta sta ultimando la sua Scientia Crucis, commissionatale dall’Ordine per le celebrazioni del quarto centenario della nascita di San Giovanni della Croce, che ricorre in quell’anno: il lavoro rappresenta anche il testamento spirituale della religiosa, che andrà docilmente incontro al martirio.

Le SS si presentano alla porta del Carmelo di Echt il 2 agosto 1942, con l’ordine di prelevare le sorelle Stein. Le ultime parole di suor Teresa Benedetta udite a Echt sono rivolte a Rosa: Vieni, andiamocene per il nostro popolo. Assieme a molti ebrei convertiti al cristianesimo, le due donne vengono portate al campo di raccolta di Westerbork, nel nord dell’Olanda. Da qui giungono gli ultimi messaggi della religiosa indirizzati alle consorelle: si dice serena, prega molto e chiede alle suore di non preoccuparsi per il suo destino. Anche i pochi giorni passati a Westerbork e la deportazione in treno, verso est, rappresentano per suor Teresa Benedetta l’occasione per servire e donare consolazione ai compagni di quel viaggio. Nel cuore dei deportati rimase una chiara immagine di lei: Tra tutti gli altri deportati suor Teresa Benedetta attirava l’attenzione per la sua calma e il suo abbandono. Le urla e la confusione nel campo erano indescrivibili. Lei andava qua e là tra le donne consolando, aiutando e calmando come un angelo. Molte madri, vicine ormai alla follia, non si occupavano più dei loro bambini e guardavano davanti a sé con ottusa disperazione. Lei li lavava, li pettinava, e curava. Lo stesso Husserl dirà della sua assistente: In Edith Stein c’è sempre stato qualcosa di assoluto, e insieme un inespresso desiderio di martirio.

Alcune testimonianze riportano il suo ingresso, assieme alla sorella Rosa, nella camera a gas di Auschwitz, il 9 agosto 1942.

Teresa Benedetta della Croce è la prima apostata dell’ebraismo ad andare incontro alla santificazione per opera della Chiesa cattolica.
La causa di beatificazione di Teresa Benedetta della Croce, introdotta nel 1962 dal Cardinale Joseph Höffner, Arcivescovo di Colonia, trova compimento nella stessa città a opera di Papa Giovanni Paolo II, il 1° maggio 1987. Lo stesso pontefice la proclama Santa, a Roma, l’11 ottobre 1998 definendola una figlia d’Israele, che durante le persecuzioni dei nazisti è rimasta unita con fede ed amore al Signore Crocifisso, Gesù Cristo, quale cattolica ed al suo popolo quale ebrea.

La croce non è fine a se stessa. Essa si staglia in alto e fa richiamo verso l’alto. Quindi non è soltanto un’insegna, è anche l’arma potente di Cristo, la verga del pastore con cui il Davide esce contro all’infernale Golia, il simbolo trionfale con cui Egli batte alla porta del cielo e la spalanca. Edith vede la Croce come l’unione nuziale dell’anima con Dio, fine ultimo per il quale è stata creata; unione che si ottiene con la croce, si consuma sulla croce e verrà sigillata con la croce per tutta l’eternità (…), una unione e una trasformazione dell’anima attraverso l’amore…prendere la propria croce è abbandonarsi alla crocifissione .

La chiave di tutto è la Croce. Predicare la croce sarebbe vano, se non fosse l’espressione di una vita in unione con il Crocifisso.