Francesco invitata i giovani a vivere il loro amore castamente, evitando così l’edonismo.
Riportiamo il discorso che Papa Francesco ha pronunciato ai giovani alla chiusura della prima giornata di visita a Torino.
“E adesso, io so che voi siete buoni e mi permetterete di parlare con sincerità. Io non vorrei fare il moralista ma vorrei dire una parola che non piace, una parola impopolare. Anche il Papa alcune volte deve rischiare sulle cose per dire la verità. L’amore è nelle opere, nel comunicare, ma l’amore è molto rispettoso delle persone, non usa le persone e cioè l’amore è casto. E a voi giovani in questo mondo, in questo mondo edonista, in questo mondo dove soltanto ha pubblicità il piacere, passarsela bene, fare la bella vita, io vi dico: siate casti, siate casti.
Tutti noi nella vita siamo passati per momenti in cui questa virtù è molto difficile, ma è proprio la via di un amore genuino, di un amore che sa dare la vita, che non cerca di usare l’altro per il proprio piacere. E’ un amore che considera sacra la vita dell’altra persona: io ti rispetto, io non voglio usarti, io non voglio usarti. Non è facile. Tutti sappiamo le difficoltà per superare questa concezione “facilista” ed edonista dell’amore. Perdonatemi se dico una cosa che voi non vi aspettavate, ma vi chiedo: fate lo sforzo di vivere l’amore castamente“.
Di seguito il testo completo
Grazie a Chiara, Sara e Luigi. Grazie perché le domande sono sul tema delle tre parole del Vangelo di Giovanni che abbiamo sentito: amore, vita, amici. Tre parole che nel testo di Giovanni si incrociano, e una spiega l’altra: non si può parlare della vita nel Vangelo senza parlare d’amore – se parliamo della vera vita –, e non si può parlare dell’amore senza questa trasformazione da servi ad amici. E queste tre parole sono tanto importanti per la vita ma tutte e tre hanno una radice comune: la voglia di vivere. E qui mi permetto di ricordare le parole del beato Pier Giorgio Frassati, un giovane come voi: «Vivere, non vivacchiare!». Vivere!
Voi sapete che è brutto vedere un giovane “fermo”, che vive, ma vive come – permettetemi la parola – come un vegetale: fa le cose, ma la vita non è una vita che si muove, è ferma. Ma sapete che a me danno tanta tristezza al cuore i giovani che vanno in pensione a 20 anni!
Sì, sono invecchiati presto… Per questo, quando Chiara faceva quella domanda sull’amore: quello che fa che un giovane non vada in pensione è la voglia di amare, la voglia di dare quello che ha di più bello l’uomo, e che ha di più bello Dio, perché la definizione che Giovanni dà di Dio è “Dio è amore”. E quando il giovane ama, vive, cresce, non va in pensione. Cresce, cresce, cresce e dà.
Ma che cos’è l’amore? “E’ la telenovela, padre? Quello che vediamo nei teleromanzi?”
Alcuni pensano che sia quello l’amore. Parlare dell’amore è tanto bello, si possono dire cose belle, belle, belle. Ma l’amore ha due assi su cui si muove, e se una persona, un giovane non ha questi due assi, queste due dimensioni dell’amore, non è amore. Prima di tutto, l’amore è più nelle opere che nelle parole: l’amore è concreto. Alla Famiglia salesiana, due ore fa, parlavo della concretezza della loro vocazione… – E vedo che si sentono giovani perché sono qui davanti! Si sentono giovani! – L’amore è concreto, è più nelle opere che nelle parole.
Non è amore soltanto dire: “Io ti amo, io amo tutta la gente”.
No. Cosa fai per amore? L’amore si dà. Pensate che Dio ha incominciato a parlare dell’amore quando si è coinvolto con il suo popolo, quando ha scelto il suo popolo, ha fatto alleanza con il suo popolo, ha salvato il suo popolo, ha perdonato tante volte – tanta pazienza ha Dio! –: ha fatto, ha fatto gesti di amore, opere di amore. E la seconda dimensione, il secondo asse sul quale gira l’amore è che l’amore sempre si comunica, cioè l’amore ascolta e risponde, l’amore si fa nel dialogo, nella comunione: si comunica. L’amore non è né sordo né muto, si comunica. Queste due dimensioni sono molto utili per capire cosa è l’amore, che non è un sentimento romantico del momento o una storia, no, è concreto, è nelle opere. E si comunica, cioè è nel dialogo, sempre.
Così Chiara, risponderò a quella tua domanda: “Spesso ci sentiamo delusi proprio nell’amore.
In che cosa consiste la grandezza dell’amore di Gesù? Come possiamo sperimentare il suo amore?”. E adesso, io so che voi siete buoni e mi permetterete di parlare con sincerità. Io non vorrei fare il moralista ma vorrei dire una parola che non piace, una parola impopolare. Anche il Papa alcune volte deve rischiare sulle cose per dire la verità. L’amore è nelle opere, nel comunicare, ma l’amore è molto rispettoso delle persone, non usa le persone e cioè l’amore è casto. E a voi giovani in questo mondo, in questo mondo edonista, in questo mondo dove soltanto ha pubblicità il piacere, passarsela bene, fare la bella vita, io vi dico: siate casti, siate casti.
Tutti noi nella vita siamo passati per momenti in cui questa virtù è molto difficile, ma è proprio la via di un amore genuino, di un amore che sa dare la vita, che non cerca di usare l’altro per il proprio piacere. E’ un amore che considera sacra la vita dell’altra persona: io ti rispetto, io non voglio usarti, io non voglio usarti. Non è facile. Tutti sappiamo le difficoltà per superare questa concezione “facilista” ed edonista dell’amore. Perdonatemi se dico una cosa che voi non vi aspettavate, ma vi chiedo: fate lo sforzo di vivere l’amore castamente.
E da questo ricaviamo una conseguenza: se l’amore è rispettoso, se l’amore è nelle opere, se l’amore è nel comunicare, l’amore si sacrifica per gli altri. Guardate l’amore dei genitori, di tante mamme, di tanti papà che al mattino arrivano al lavoro stanchi perché non hanno dormito bene per curare il proprio figlio ammalato, questo è amore! Questo è rispetto. Questo non è passarsela bene. Questo è – andiamo su un’altra parola chiave – questo è “servizio”. L’amore è servizio. E’ servire gli altri. Quando Gesù dopo la lavanda dei piedi ha spiegato il gesto agli Apostoli, ha insegnato che noi siamo fatti per servirci l’uno all’altro, e se io dico che amo e non servo l’altro, non aiuto l’altro, non lo faccio andare avanti, non mi sacrifico per l’altro, questo non è amore. Avete portato la Croce [la Croce delle GMG]: lì è il segno dell’amore. Quella storia di amore di Dio coinvolto con le opere e con il dialogo, con il rispetto, col perdono, con la pazienza durante tanti secoli di storia col suo popolo, finisce lì: suo Figlio sulla croce, il servizio più grande, che è dare la vita, sacrificarsi, aiutare gli altri. Non è facile parlare d’amore, non è facile vivere l’amore.
Ma con queste cose che ho risposto, Chiara, credo che ti ho aiutato in qualcosa, nelle domande che tu mi facevi. Non so, spero che ti siano di utilità.
E grazie a te, Sara, appassionata di teatro. Grazie. “Penso alle parole di Gesù: Dare la vita”.
Ne abbiamo parlato adesso. “Spesso respiriamo un senso di sfiducia nella vita”. Sì, perché ci sono situazioni che ci fanno pensare: “Ma, vale la pena vivere così? Cosa posso aspettarmi da questa vita?”. Pensiamo, in questo mondo, alle guerre. Alcune volte ho detto che noi stiamo vivendo la terza guerra mondiale, ma a pezzi. A pezzi: in Europa c’è la guerra, in Africa c’è la guerra, in Medio Oriente c’è la guerra, in altri Paesi c’è la guerra… Ma io posso avere fiducia in una vita così? Posso fidarmi dei dirigenti mondiali? Io, quando vado a dare il voto per un candidato, mi posso fidare che non porterà il mio Paese alla guerra? Se tu ti fidi soltanto degli uomini, hai perso!
A me fa pensare una cosa: gente, dirigenti, imprenditori che si dicono cristiani, e fabbricano armi! Questo dà un po’ di sfiducia: si dicono cristiani! “No, no, Padre, io non fabbrico, no, no…
Soltanto ho i miei risparmi, i miei investimenti nelle fabbriche di armi”. Ah! E perché? “Perché gli interessi sono un po’ più alti…”. E anche la doppia faccia è moneta corrente, oggi: dire una cosa e farne un’altra. L’ipocrisia… Ma vediamo cosa è successo nel secolo scorso: nel ’14, ’15, nel ’15 propriamente. C’è stata quella grande tragedia dell’Armenia. Tanti sono morti. Non so la cifra: più di un milione certamente. Ma dove erano le grandi potenze di allora? Guardavano da un’altra parte. Perché? Perché erano interessate alla guerra: la loro guerra! E questi che muoiono, sono persone, esseri umani di seconda classe. Poi, negli anni Trenta-Quaranta, la tragedia della Shoah.
Le grandi potenze avevano le fotografie delle linee ferroviarie che portavano i treni ai campi di concentramento, come Auschwitz, per uccidere gli ebrei, e anche i cristiani, anche i rom, anche gli omosessuali, per ucciderli lì. Ma dimmi, perché non hanno bombardato quello? L’interesse!
E un po’ dopo, quasi contemporaneamente, c’erano i lager in Russia: Stalin… Quanti cristiani hanno sofferto, sono stati uccisi! Le grandi potenze si dividevano l’Europa come una torta. Sono dovuti passare tanti anni prima di arrivare a una “certa” libertà. C’è quell’ipocrisia di parlare di pace e fabbricare armi, e persino vendere le armi a questo che è in guerra con quello, e a quello che è in guerra con questo!
Io capisco quello che tu dici della sfiducia nella vita; anche oggi che stiamo vivendo nella cultura dello scarto. Perché quello che non è di utilità economica, si scarta. Si scartano i bambini, perché non si fanno, o perché si uccidono prima che nascano; si scartano gli anziani, perché non servono e si lasciano lì, a morire, una sorta di eutanasia nascosta, e non si aiutano a vivere; e adesso si scartano i giovani: pensa a quel 40% di giovani, qui, senza lavoro. E’ proprio uno scarto! Ma perché? Perché nel sistema economico mondiale non è l’uomo e la donna al centro, come vuole Dio, ma il dio denaro. E tutto si fa per denaro. In spagnolo c’è un bel detto che dice: “Por la plata baila el mono”. Traduco: “Per i soldi, anche la scimmia balla”. E così, con questa cultura dello scarto, ci si può fidare della vita?, con quel senso di sfida [che] si allarga, si allarga, si allarga? Un giovane che non può studiare, che non ha lavoro, che ha la vergogna di non sentirsi degno perché non ha lavoro, non si guadagna la vita. Ma quante volte questi giovani finiscono nelle dipendenze? Quante volte si suicidano? Le statistiche dei suicidi dei giovani non si conoscono bene. O quante volte questi giovani vanno a lottare con i terroristi, almeno per fare qualcosa, per un ideale. Io capisco questa sfida.
E per questo Gesù ci diceva di non riporre le nostre sicurezze nelle ricchezze, nei poteri mondani. Come mi posso fidare della vita? Come posso fare, come posso vivere una vita che non distrugga, che non sia una vita di distruzione, una vita che non scarti le persone? Come posso vivere una vita che non mi deluda?
E passo a dare la risposta alla domanda di Luigi: lui parlava di un progetto di condivisione, cioè di collegamento, di costruzione.
Noi dobbiamo andare avanti con i nostri progetti di costruzione, e questa vita non delude. Se tu ti coinvolgi lì, in un progetto di costruzione, di aiuto – pensiamo ai bambini di strada, ai migranti, a tanti che hanno bisogno, ma non soltanto per dar loro da mangiare un giorno, due giorni, ma per promuoverli con l’educazione, con l’unità nella gioia degli Oratori e tante cose, ma cose che costruiscono, allora quel senso di sfiducia nella vita si allontana, se ne va. Cosa devo fare per questo? Non andare in pensione troppo presto: fare. Fare. E dirò una parola: fare controcorrente. Fare controcorrente. Per voi giovani che vivete questa situazione economica, anche culturale, edonista, consumista con i valori da “bolle di sapone”, con questi valori non si va avanti. Fare cose costruttive, anche se piccole, ma che ci riuniscano, ci uniscano tra noi, con i nostri ideali: questo è il migliore antidoto contro questa sfiducia della vita, contro questa cultura che ti offre soltanto il piacere: passarsela bene, avere i soldi e non pensare ad altre cose.
Grazie per le domande. A te, Luigi, in parte ho risposto, no? Fare controcorrente,
Cioè essere coraggiosi e creativi, essere creativi. L’estate scorsa ho ricevuto, un pomeriggio – era agosto… Roma era morta –; mi aveva parlato al telefono un gruppo di ragazzi e ragazze che facevano un campeggio in varie città d’Italia, e sono venuti da me – ho detto loro di venire –, ma poveretti, tutti sporchi, stanchi… ma gioiosi! Perché avevano fatto qualcosa “controcorrente”!
Tante volte, le pubblicità vogliono convincerci che questo è bello, che questo è buono, e ci fanno credere che sono “diamanti”; ma, guardate, ci vendono vetro! E noi dobbiamo andare contro questo, non essere ingenui. Non comprare sporcizie che ci dicono essere diamanti.
E per finire, vorrei ripetere la parola di Pier Giorgio Frassati: se volete fare qualcosa di buono nella vita, vivete, non vivacchiate. Vivete!
Ma voi siete intelligenti e sicuramente mi direte: “Ma, padre, lei parla così perché è in Vaticano, ha tanti monsignori lì che le fanno il lavoro, lei è tranquillo e non sa cosa è la vita di ogni giorno…”.
Ma sì, qualcuno può pensare così. Il segreto è capire bene dove si vive. In questa terra – e questo ho detto anche alla Famiglia salesiana – alla fine dell’Ottocento c’erano le condizioni più cattive per la crescita della gioventù: c’era la massoneria in pieno, anche la Chiesa non poteva fare nulla, c’erano i mangiapreti, c’erano anche i satanisti… Era uno dei momenti più brutti e dei posti più brutti della storia d’Italia. Ma se voi volete fare un bel compito a casa, andate a cercare quanti santi e quante sante sono nati in quel tempo! Perché? Perché si sono accorti che dovevano andare controcorrente rispetto a quella cultura, a quel modo di vivere. La realtà, vivere la realtà.
E se questa realtà è vetro e non diamante, io cerco la realtà controcorrente e faccio la mia realtà, ma una cosa che sia servizio per gli altri. Pensate ai vostri santi di questa terra, che cosa hanno fatto!
E grazie, grazie, grazie tante! Sempre amore, vita, amici. Ma si possono vivere queste parole soltanto “in uscita”: uscendo sempre per portare qualcosa. Se tu rimani fermo non farai niente nella vita e rovinerai la tua.
Ho dimenticato di dirvi che adesso consegnerò il discorso scritto. Io conoscevo le vostre domande, e ho scritto qualcosa sulle vostre domande; ma non è quello che ho detto, questo mi è venuto dal cuore; e consegno all’incaricato il discorso, e tu lo rendi pubblico [consegna i fogli al sacerdote incaricato della pastorale giovanile].
Qui voi siete tanti universitari, ma guardatevi dal credere che l’università sia soltanto studiare con la testa: essere universitario significa anche uscire, uscire nel servizio, con i poveri, soprattutto! Grazie.
Discorso preparato dal Santo Padre
Cari giovani, vi ringrazio di questa accoglienza calorosa! E grazie per le vostre domande, che ci portano al cuore del Vangelo.
La prima, sull’amore, ci interroga sul senso profondo dell’amore di Dio, offerto a noi dal Signore Gesù. Egli ci mostra fin dove arriva l’amore: fino al dono totale di sé stessi, fino a dare la propria vita, come contempliamo nel mistero della Sindone, quando in essa riconosciamo l’icona dell’«amore più grande». Ma questo dono di noi stessi non deve essere immaginato come un raro gesto eroico o riservato a qualche occasione eccezionale. Potremmo infatti correre il rischio di cantare l’amore, di sognare l’amore, di applaudire l’amore… senza lasciarci toccare e coinvolgere da esso! La grandezza dell’amore si rivela nel prendersi cura di chi ha bisogno, con fedeltà e pazienza; per cui è grande nell’amore chi sa farsi piccolo per gli altri, come Gesù, che si è fatto servo. Amare è farsi prossimo, toccare la carne di Cristo nei poveri e negli ultimi, aprire alla grazia di Dio le necessità, gli appelli, le solitudini delle persone che ci circondano. L’amore di Dio allora entra, trasforma e rende grandi le piccole cose, le rende segno della sua presenza. San Giovanni Bosco ci è maestro proprio per la sua capacità di amare e educare a partire dalla prossimità, che lui viveva con i ragazzi e i giovani.
Alla luce di questa trasformazione, frutto dell’amore, possiamo rispondere alla seconda domanda, sulla sfiducia nella vita. La mancanza di lavoro e di prospettive per il futuro certamente contribuisce a frenare il movimento stesso della vita, ponendo molti sulla difensiva: pensare a sé stessi, gestire tempo e risorse in funzione del proprio bene, limitare i rischi di qualsiasi generosità… Sono tutti sintomi di una vita trattenuta, conservata a tutti i costi e che, alla fine, può portare anche alla rassegnazione e al cinismo. Gesù ci insegna invece a percorrere la via opposta: «Chi vuole salvare la propria vita, la perderà, ma chi perderà la propria vita per causa mia, la salverà» (Lc 9,24). Ciò significa che non dobbiamo attendere circostanze esterne favorevoli per metterci davvero in gioco, ma che, al contrario, solo impegnando la vita – consapevoli di perderla! – creiamo per gli altri e per noi le condizioni di una fiducia nuova nel futuro. E qui il pensiero va spontaneamente a un giovane che ha davvero speso così la sua vita, tanto da diventare un modello di fiducia e di audacia evangelica per le giovani generazioni d’Italia e del mondo: il beato Pier Giorgio Frassati. Un suo motto era: «Vivere, non vivacchiare!». Questa è la strada per sperimentare in pienezza la forza e la gioia del Vangelo. Così non solo ritroverete fiducia nel futuro, ma riuscirete a generare speranza tra i vostri amici e negli ambienti in cui vivete.
Una grande passione di Pier Giorgio Frassati era l’amicizia. E la vostra terza domanda diceva proprio: come vivere l’amicizia in modo aperto, capace di trasmettere la gioia del Vangelo? Ho saputo che questa piazza in cui ci troviamo, nelle sere di venerdì e sabato, è molto frequentata da giovani. Succede così in tutte le nostre città e paesi. Penso che anche alcuni di voi vi ritroviate qui o in altre piazze con i vostri amici. E allora vi faccio una domanda – ciascuno ci pensi e risponda dentro di sé –: in quei momenti, quando siete in compagnia, riuscite a far “trasparire” la vostra amicizia con Gesù negli atteggiamenti, nel modo di comportarvi? Pensate qualche volta, anche nel tempo libero, nello svago, che siete dei piccoli tralci attaccati alla Vite che è Gesù? Vi assicuro che pensando con fede a questa realtà, sentirete scorrere in voi la “linfa” dello Spirito Santo, e porterete frutto, quasi senza accorgervene: saprete essere coraggiosi, pazienti, umili, capaci di condividere ma anche di differenziarvi, di gioire con chi gioisce e di piangere con chi piangere, saprete voler bene a chi non vi vuole bene, rispondere al male con il bene. E così annuncerete il Vangelo!
I Santi e le Sante di Torino ci insegnano che ogni rinnovamento, anche quello della Chiesa, passa attraverso la nostra conversione personale, attraverso quella apertura di cuore che accoglie e riconosce le sorprese di Dio, sospinti dall’amore più grande (cfr 2 Cor 5,14), che ci rende amici anche delle persone sole, sofferenti ed emarginate.
Cari giovani, insieme con questi fratelli e sorelle maggiori che sono i Santi, nella famiglia della Chiesa noi abbiamo una Madre, non dimentichiamolo! Vi auguro di affidarvi pienamente a questa tenera Madre, che indicò la presenza dell’«amore più grande» proprio in mezzo ai giovani, in una festa di nozze. La Madonna «è l’amica sempre attenta perché non venga a mancare il vino nella nostra vita» (Esort. ap. Evangelii gaudium, 286). Preghiamo perché non ci lasci mancare il vino della gioia!
Grazie a tutti voi! Dio vi benedica tutti. E per favore, pregate per me.