Noi giovani, i personaggi biblici e Gesù

da | 7 Nov 2017 | Giovani

Gioia, novità, desiderio, domande di senso, modelli: «ma qui non si parla mai di Cristo! E quando pensate di parlare del Figlio di Dio a questi giovani che non lo conoscono più, ma che ne hanno tremendamente bisogno?». Ascoltando i racconti di amici e colleghi, evidentemente, non solo a me è capitato di sentirsi (più o meno) bonariamente rimproverare di far emergere sempre troppo tardi nell’attività (accademica, scolastica, pastorale) che si sta svolgendo il dato di fede, l’annuncio evangelico.

Soprassedendo per ora al problema filosofico, teologico e pastorale appena evocato è giunto il momento di ascoltare Simone, Alice, Giulio, Giorgio, Giovanna e Marta sui loro eventuali modelli biblici ed evangelici…

 «Ci sono dei personaggi biblici che in qualche modo sono stati un modello per la tua crescita e la tua maturazione?»

GIORGIO: «Sì, sono due personaggi. L’uno è Giobbe, l’altro è un personaggio estremamente minore, tanto minore da non avere un nome: l’emorroissa (Mt 9,20-22; Mc 5,25-34; Lc 8,40-48).
Io vorrei essere come loro, cioè credere nonostante le sofferenze e avere speranza. Però ho scelto Giobbe col cervello e l’emorroissa col cuore. Il libro di Giobbe è ricchissimo di spunti e anche difficile e mi fa riflettere sempre. L’emorroissa mi piace per la fede che dimostra, ma anche per la grande umiltà: una fede umile mi pare una fede potenziata. Cioè l’emorroissa non pretende nemmeno di toccare Gesù, non pretende di parlargli, non ha bisogno di capire Gesù con tanta teologia, lo conosce già, sa che è il salvatore e basta. È vero ci sono personaggi simili, ma lei viene anche rimproverata, cioè non solo è umile, ma si umilia. Per questo viene salvata. La frase “se riuscirò anche solo a toccare il suo mantello, sarò salva” è indice di una fede immensa che non so se avrò mai».

ALICE: «Io, invece, non mi considero propriamente credente, ma neanche non credente. Dico sempre infatti che credo in qualcosa di ‘altro’ che ancora non ho ben individuato. Ciò nonostante, credo che Giobbe sia prima di tutto una figura umana. La sua relazione con Dio è umana, ‘troppo umana’ nella sua sostanziale inumanità – e disumanità. Giobbe, al contrario degli amici, è però il solo che ‘vede oltre’ nel deserto, non perde la speranza, sa di avere ancora ‘qualcosa’, cioè la fede, o meglio quella speranza (se non quella fiducia, in qualcuno o in qualcosa), che noi ritroviamo nel modello, quando la bussola non ci indica più il nord (quando siamo déboussolé – perduti)».

SIMONE: «Io trovo una grande consolazione in Paolo di Tarso: ‘punito’ da Dio tramite un’apocalisse personale egli ha saputo ridefinire la sua identità di ebreo alla luce di Cristo, invece di abbandonarla come purtroppo molti cristiani conservatori pensano di dover fare. Ciononostante ha spesso mantenuto un po’ del suo ‘caratteraccio’ quando si è trovato davanti a persone che volevano usare l’Evangelo per escludere altri. Il fatto che sia stato frainteso ed eretto a idolo dei conservatori me lo fa piacere ancora di più, ora che ho avuto modo di scoprire chi fosse veramente».

GIULIO: «Sono molto affezionato al legionario Cornelio, perché mi da speranza il fatto che anche un soldato pagano, e quindi una persona come me, quasi irreggimentata in una società, possa essere scelto e ricevere i doni dello Spirito in quanto uomo giusto. Alcune figure esemplari, infatti, mi sembrano a volte irraggiungibili, sebbene Gesù stesso dica che il suo messaggio non risieda in cielo e non abbiamo bisogno che angeli lo portino giù da noi… Mentre spesso, leggendo il Vangelo e sforzandomi di passare per la via stretta mi chiedo come potrei farlo.
Il giovane ricco e l’uomo che vuole salutare la famiglia alla chiamata, persino Pilato, sono così più vicini, razionali, semplici. Gli stessi San Giuseppe e San Paolo: il primo, taciturno uomo d’azione, è un esempio di amore virile talmente luminoso da sembrarmi più evoluto della stessa cultura moderna, la quale risente di un machismo quasi pervasivo; il secondo, che col paradosso “quando sono debole, è allora che sono forte” mi ricorda che non bisogna temere delle proprie debolezze, e accettandole come limiti dell’ego mi aiutano a riconoscere l’altro, e l’Altro in lui».

 «La figura di Gesù continua ad affascinare i giovani? A te dice ancora qualcosa?»

SIMONE: «Penso che Gesù affascini la maggior parte delle persone, soprattutto quelle che non hanno ancora perso il dono dell’idealismo. Il problema è il dogma che molti non possono accettare, quella convinzione, segnalata da Giulio, secondo cui il Gesù che siamo chiamati a imitare sia completamente irraggiungibile, perché ridotto a un ‘pupazzo di carne’ controllato completamente da un Logos che col creato ha a che fare solo come strumento di creazione. Gesù è invece e innanzitutto il vero Adamo, l’umanità come possiamo tutti essere e come dovremmo esserlo».

Concorda GIORGIO: «Credo proprio di sì. Il vangelo è grandioso, ha una potenza tale che si resta inebetiti dopo averlo letto. Per me Gesù è una costante pietra di paragone nella vita di tutti i giorni. Mi chiedo sempre che cosa avrebbe fatto Lui al posto mio in molte circostanze. Tuttavia, ciò non mi impedisce di sbagliare e di fare il contrario di quello che farebbe lui in molte occasioni».

In effetti, osserva GIOVANNA, «credo che la figura di Gesù sia caduta abbastanza in disgrazia presso ‘i giovani’, eppure potrebbe essere un malinteso. Mi sembra che Gesù venga visto come una figura ‘da bambini’, una specie di Babbo Natale in versione estiva. Il Gesù che ho in mente, tutto al contrario, è il Joshua descritto da Bulgakov ne “Il Maestro e Margherita”.
Persona dotata di empatia profonda, riesce con pochi indizi capire qual è la tua ferita e parlare ad essa. Naturalmente incontrando tutte le tue resistenze, che metti in atto proprio allo scopo di proteggere la ferita ancora aperta. Quello, sì, è un vero modello».

Sulla stessa lunghezza d’onda GIULIO: «La Bibbia è troppo poco conosciuta dai coetanei che ho incontrato nell’arco della mia vita, per riuscire a proporre figure di riferimento oltre a un Gesù non-violento, quasi hippie, e una Maddalena prostituta redenta- E’ difficile prendere un modello da un testo misconosciuto, le cui figure vengono spesso sottratte alla fede per essere adoperate in un folklore che con Messi oscura (anziché adorare) Gesù bambino nel presepe. Ciò nonostante, la figura di Gesù è ancora dotata di fascino grazie alla percezione di un messaggio evangelico che si situa al di fuori della Storia, un messaggio di amore universale che ancora oggi, fra razzismi ed egoismi, è rivoluzionario e all’avanguardia, e forse lo sarà per sempre.
Certo, però, che se la religione continuerà a essere trattata come superstizione popolare e sfruttamento dell’irrazionalità, senza tenere alla mente secoli di arte e di filosofie religiose e il posto che le domande sul senso della vita hanno nell’esistenza, il fascino del solo Gesù non sarà sufficiente, e sarà Lui stesso ad essere trattato come roba vecchia che non ha più nulla da dire».

Positiva, invece, MARTA: «Per quanto riguarda la figura di Gesù, questa mi ha sempre appassionato, più che affascinato. Per quanto ‘controversa’, la sua figura ha sempre incarnato per me l’ideale del Giusto e del Bene. Certo: la fede colora le figure bibliche in un modo del tutto differente rispetto a uno sguardo laico, che per quanto ammirato non ne sarà mai realmente abbagliato e non vi si abbandonerà misticamente come chi realmente vede nei Santi e in Gesù il vero e unico modello. Tuttavia Gesù rimane per me la figura centrale. Quanto ai miei coetanei, chiaramente, solo chi ha avuto un’educazione cattolica si ricorda che un modello (intonso) come Gesù è effettivamente esistito; per tutti gli altri non sembra proprio esistere un modello di valori, di significati. Mi sembra che una valida alternativa possa essere costituita dai personaggi politici – del passato magari, ma quasi mai da modelli che abbiano a che fare essenzialmente con la spiritualità.
I giovani che non hanno mai conosciuto la sfera della religione seguono percorsi autodidatti, e dai modelli imparano a ‘fare’, non a ‘sentire (profondamente)’».

Sergio Ventura | Vino Nuovo