di suor Marcia Koffermann, FMA
Oggi sussiste una forte tendenza all’individualismo che, insieme alla crescente fragilità della vita comunitaria, genera non solo isolamento, ma anche indifferenza e rafforzamento dell’odio e della divisione.
In un’ottica individualista, per essere felici gli esseri umani devono soddisfare tutti i loro desideri, indipendentemente da chi e cosa li circondi. In altre parole, l’“Io” appare sempre e al primo posto e come principio delle scelte fondamentali. Prendendo questa concezione come logica della vita, ogni sofferenza, rifiuto personale o bisogno di alterità è visto come un’aggressione all’essere umano.
Si nota pure come, nell’educazione familiare, i genitori cercano di proteggere il più possibile i propri figli, evitando di dire qualsiasi tipo di “no”, o cercando di eliminare qualsiasi frustrazione che possa capitare al bambino.
I media digitali sono anch’essi uno spazio che favorisce lo sviluppo dell’individualismo.
È interessante vedere come il centro dei social network sia l’individuo stesso, in modo che le persone ruotino sempre attorno a se stesse. Lo è il riferimento che l’individuo usa per se stesso. Nella Giornata Mondiale delle Comunicazioni Sociali, Papa Francesco dice: “quella che dovrebbe essere una finestra aperta sul mondo diventa una vetrina del narcisismo”.
Ovviamente, l’essere umano è sempre frutto del suo tempo e l’individualismo è una delle ideologie che mantengono il sistema attuale, favorendo il consumismo che decreta: “devo avere, perché io sia felice!” La persona non è vista nella sua interezza come immagine e somiglianza di Dio, ma come un individuo isolato, solo uno in più tra gli altri. La dignità della persona finisce per essere negata ed omessa da un’idea che strumentalizza l’individuo.
Essere comunità
Forse questa è una delle chiavi per capire perché gli esseri umani, nella cultura di oggi, sono sempre alla disperata ricerca della felicità, alla ricerca di emozioni forti, di esperienze più intense, situazioni di vita più rischiose. Sin dalle origini la Chiesa si è organizzata in comunità e ha visto nel livello comunitario un valore costitutivo della sua fede. Questo è anche uno dei motivi per cui la Chiesa ha difficoltà a dialogare con il mondo di oggi, perché non può lasciare sullo sfondo la sua essenza comunitaria. Secondo il cardinale Ratzinger: “La verità della fede non è data all’individuo isolato, ma con essa Dio ha voluto stabilire la storia e la comunità. Ha il suo posto nel soggetto comunitario del popolo di Dio, la Chiesa”.
Così, per arrivare a Cristo è necessario uscire da se stessi, sperimentare l’“essere comunità”, l’“essere popolo di Dio”, perché è lì che Dio agisce e si manifesta. Dio non vuole individui chiusi ed egoisti, perché egli stesso è relazione, dono e misericordia.
Secondo Papa Francesco: “La gioia e la consapevolezza della centralità di Cristo sono i due atteggiamenti che i cristiani devono coltivare nella vita quotidiana”. Pertanto, è impossibile per il cristiano vivere nella logica dell’individualismo che porta all’egoismo e alla chiusura. Il rafforzamento della comunità, l’esperienza della vita cristiana pratica attraverso gesti concreti che testimoniano la sequela di Cristo all’interno di una comunità, una comunità segnata dall’alterità e capace di condurre alla vera felicità… Possono essere un modo per affrontare questa ideologia così forte da inserirsi in tutte le realtà odierne.
I genitori e le comunità educative, sia nelle scuole, sia nelle opere sociali, hanno una missione molto importante di educare gli altri, aiutando le nuove generazioni a lasciarsi guidare da Cristo, facendo di Lui il vero centro della loro vita. Questa è la gioia che non gli sarà tolta.
La differenza tra individuo e persona
In questo processo è importante differenziare due termini: individuo e persona. Per individuo comprendiamo un essere unico, cioè uno tra gli altri; diversamente dall’essere persona, dove ognuno è a partire dall’incontro con l’altro. Essere persona significa guardare la Trinità, le tre persone divine che vivono in comunione.
Da questo punto di vista, essere persona significa vivere e stare in relazione.
Questa nozione di essere persona come essere relazionale va contro ogni forma di individualismo. Se Dio è un essere di relazione e la persona è la sua immagine e somiglianza, l’essere umano deve anche vivere un atteggiamento di apertura e, quindi, il desiderio di vivere la comunione. Questa tendenza individualistica – sia tra me e un altro me, tra me e il mio gruppo, sia che si tratti di un tentativo di rapporto isolato tra me e Dio – sfugge al principio di dialogo con cui Dio si presenta.
Forse per i cristiani oggi, più che pensare ad un individuo con i suoi diritti, sarebbe necessario pensare ad una persona a immagine e somiglianza di Dio. Questo cambiamento di prospettiva va al di là di una questione di linguaggio, e porta uno sguardo umanizzato su ciascun essere umano, che non è un individuo qualsiasi, ma un Figlio di Dio e quindi membro della grande fratellanza umana confermata da Gesù Cristo.
In questa dinamica, ogni essere umano è visto nella sua interezza e dignità, amato e sognato da Dio. Vivere in comunità significa impegnarsi, partecipare e contribuire a creare comunione.
La scuola è un posto speciale per questo. Educare ad essere “persona” in modo integrale, affinché ogni bambino, adolescente e giovane possa sperimentare la gioia di donarsi al prossimo, è un modo possibile per educare alla fede in questa società sempre più individualistica.
Non esiste una ricetta magica, ma questo è certamente un punto da considerare.
Fonte: Infoans
Articolo originale: Bollettino Salesiano (Brasile)