1^ domenica Avvento Romano
1 dicembre 2019 – Anno A
“VEGLIATE, PERCHE’ NON SAPETE NE’ IL GIORNO NE’ L’ORA…”
Vangelo di Matteo, 24,37-44
Commento di suor Maria Vanda Penna, FMA
Tempo di Avvento: tempo di attesa del Signore che viene. Il nostro è un Dio che sempre viene, che sempre “discende” verso di noi, tra noi, in noi, per assumerci in sé. È un Dio attratto dalla povertà, perché la vuole rivestire di sé, dal nostro niente perché ci vuole trasfigurare, avendoci creati “capaci di Lui” (1Cor 1, 27-29). A noi accogliere la sua iniziativa di amore, il dono gratuito che ci rivela il nostro essere profondo abitato da Lui.
Per questo la Chiesa ci aiuta a ricordare la confortante realtà invitandoci a vivere intensamente, ogni anno, il tempo speciale che nel Natale vede la PAROLA incarnarsi nella nostra storia e salvarla dall’assurdo, dal non senso, dal non amore. Se i nostri occhi sono limpidi e il cuore è pulito, in ogni istante “vediamo” la Sua presenza, perché Lui è nel quotidiano, Lui è qui mentre io scrivo e tu leggi, Lui è la roccia ferma della nostra vita. S. Paolo: “In Lui viviamo, ci muoviamo e siamo” (At 17,28).
Ogni tempo è simile a quello di Noè: chi si dà da fare per preparare l’arca della salvezza e chi mangia, beve, si sposa…, cose peraltro legittime, ma chiuse nell’attimo che fugge, senza sguardo di futuro, senza quel cuore profetico che sa trasformare ogni accadimento in evento di salvezza.
“Uno sarà preso, l’altro lasciato”: parole misteriose, che invitano ad andare a fondo del problema. In sostanza, il futuro si gioca nell’oggi, nel modo di vivere le stesse realtà, il lavoro, le relazioni, gli affetti: liberi e capaci di equilibrio interiore e di discernimento sull’importanza delle cose o perennemente affannati oppure pigri nella ricerca di un di più che non riusciamo a raggiungere e che essenziale non è?
L’essere preoccupati e agitati intorno alle molte cose è l’atteggiamento che Gesù rimprovera a Marta, come ci narra l’evangelista Luca (10,41), mentre è lodata Maria che, seduta ai suoi piedi, ascolta la Parola e in quella trova la risposta all’inquietudine del cuore.
D’altra parte, la Parola ci mette in guardia anche dal non trafficare i talenti ricevuti, dal non fare nulla per rendere il mondo, almeno intorno a noi, un po’ più vivibile (Mt 25, 14-30).
Presi o lasciati? Lo scegliamo ora e qui.
E Gesù viene sempre, ci cerca, ci parla, attende di essere riconosciuto, e spesso ci trova distratti di fronte alla sua Parola che, poiché Lui ama la nostra vita, ci avverte circa il “diluvio”.
Quando verrà? Il nostro tempo è pieno di metaforici diluvi, che con scelte più oculate si potrebbero evitare o rendere meno rovinosi.
E la nostra vita personale? Gli ultimi tempi della storia, a cui allude il Vangelo odierno, per ciascuno di noi saranno la conclusione del nostro vivere qui in terra.
Che significa “vegliare” perché non sappiamo né il giorno né l’ora?
“Vegliare” è proprio della sentinella che nella notte non può concedersi al sonno, perché il “nemico” potrebbe arrivare all’improvviso a rubare e distruggere.
Ascoltiamo Isaia. Un grido: “Sentinella, quanto resta della notte?”. E una risposta, interpretabile: “Viene il mattino, poi anche la notte. Se volete, domandate, domandate, convertitevi, venite!”. (Is. 21,11-12)
È chiaro che la sentinella è il profeta, al quale è stato affidato l’incarico di parlare a nome di Dio. E l’appello di Dio, nel suo venire verso di noi, è alla conversione: dalle cose al desiderio di Lui. Strada della santità, condizione dell’incontro felice con Colui che viene.
Vegliare è dunque l’atteggiamento interiore di chi, giorno dopo giorno, spegne in sé i desideri di cose che nulla hanno a che fare con il Regno di Dio, e lascia emergere invece l’unico vero desiderio degno dell’uomo, quello del Signore Gesù, perché solo Lui può placare la sete di infinito che ci abita e che, per grazia Sua, ci inquieta il cuore.
Vegliare è anche l’atteggiamento di chi nutre la speranza nell’attesa fiduciosa del giorno del Signore. Allora non il timore, ma la gioia intride il nostro cuore. Attendere chi ci ama, con la certezza che verrà, è dare un senso profondo alla nostra vita, è imprimerle una direzione sicura, che né dolore, né tribolazione, né morte possono far deviare.