La bellezza che ci appartiene

da | 21 Set 2020 | Libri

“Io credo che la grammatica di una vita spirituale viva consista nell’imparare l’attenzione”. La bellezza del creato esiste nel momento in cui sappiamo guardarla con occhi attenti, curiosi, vivi: è il cuore del messaggio che ci affida il cardinale portoghese, grande amico di Romena.

 

Era un semplice prete. Ora è un Cardinale. Viveva nel cuore della vita pubblica portoghese. Ora in mezzo al silenzio vivo di migliaia di libri antichi, nella Libreria Vaticana, di cui è direttore. Ci sono cambiamenti di ruolo e di luogo che cambiano la vita delle persone senza però intaccarne il nocciolo. “La cosa importante per tutti, per un religioso o per un laico, è essere un cristiano originale, perché il profumo dell’autenticità è una forma di preghiera” sottolinea Josè Tolentino Mendonca. Non sono i ruoli che ci definiscono, questo è il suo messaggio, è la sorgente che conta: “Anche se sento come una responsabilità grande questo ruolo che mi è stato affidato cerco di portarlo avanti nella forma più semplice, costruttiva, evangelica, che riesco”.
Tolentino è venuto a trovarci come un qualunque viandante. Non è la prima volta. Ama tornare a Romena, ama riscoprirla ogni volta. Questa volta possiamo consegnargli il libro che lui ci ha regalato “La bellezza che ci appartiene”: un nuovo segno dell’amicizia che ci unisce, un dono di luce per tutti noi.

Vorrei partire dalla copertina del libro. È un’immagine che viene dal monastero di Capuchos, nel suo Portogallo, che ci colpisce. Perché per parlare della bellezza immagineremmo colori vivaci, invece è un’immagine scura, ritrae un ambiente di grande nudità. Perché questa scelta?

Sono andato in questo luogo con don Luigi e abbiamo trovato questa stanza, la stanza dell’incontro, dove i monaci anticamente mangiavano insieme. È un luogo abitato ancora dalla memoria di quell’intimità. Loro non ci sono da secoli, ma rimane un odore, un’ombra, un silenzio che è quello di una fraternità vissuta che la morte non riesca a cancellare.

Quindi è l’incontro che ci dà l’esperienza della bellezza.

L’incontro ci fa fare esperienza di bellezza. La bellezza è qualcosa che appare, o qualcuno che appare e ci lascia stupiti. E ci lascia con una domanda senza risposta più grande di tutte le risposte. E quell’incontro con la bellezza ci ricorda la cosa più preziosa: la vita è più grande di noi stessi.

In che modo ci si rende permeabili allo stupore, e quindi alla bellezza?

La filosofa Simone Weil diceva che l’attenzione è una forma di preghiera. Per essere colpiti dalla bellezza, basta un attimo di attenzione perché tutto parla, tutto canta, tutto ha intorno a noi ha una luce, tutto può guarire il nostro cuore assetato. Alle volte diciamo che Dio è invisibile e noi siamo visibili, mi piace pensare che è il contrario; che noi siamo invisibili e che Dio è visibile: Dio si lascia toccare, ascoltare, si lascia catturare nel suo odore, nel suo segreto. Dobbiamo cercare questo attimo di attenzione, di connessione. Io credo che la grammatica di una vita spirituale viva consista nell’imparare l’attenzione.

Colpisce la vastità delle sue conoscenze, ma anche la capacità di tradurla in una maniera molto semplice, immediata. Come riesce a cogliere le sorgenti che arrivano da tutto il mondo e rendersi permeabile alla bellezza?

Il segreto è essere un mendicante. Io mi sento un mendicante e ogni giorno busso alla porta di quelli che possono darmi una parola per il viaggio. Noi abbiamo tanti maestri, a volte diciamo di non trovarne, ma i maestri esistono, dobbiamo ricominciare a cercarli. Diceva Walt Whitman: “io non capisco gli atei, perché una rana o un topo sono un miracolo sufficiente per vincere tutta l’incredulità”.

Cosa non è bellezza?

Non sono bellezza la violenza, l’odio verso l’altro, la chiusura completa alla vita, le forme di sofferenza imposte ai poveri, alle vittime della storia. Quella è l’antibellezza. Tutto quello che sta dalla parte della vita, per piccolo che sia, per diverso che sia, ha in sé una scintilla, una capacità di suggerire l’infinito.

Questo libro è nato prima del lockdown, ma poi ha attraversato questi mesi impensabili. In questi mesi la bellezza come l’ha accompagnata?

La bellezza non è qualcosa che cerco quando tutto va bene, ma è un nutrimento per tempi difficili. La bellezza è quello che non può mancare. Etty Hillesum, nel campo di concentramento di Westerbork, scriveva questo nel suo diario: “i tempi bui che noi viviamo, quando sentiamo che la vita viene meno, sono i tempi propizi per guardare i gigli del campo”. Questa frase non mi abbandona mai. Questo tempo che ci ha colti così impreparati, che ci ha rivelato una vulnerabilità collettiva che noi non pensavamo, che ci ha fatto percepire tutta la nostra fragilità, è il tempo per guardare i gigli del campo.

 

Fonte: Giornalino di Romena, agosto 2020