2^ Domenica di Avvento – Anno B

2^ Domenica di Avvento – Anno B
Vangelo di Marco 1, 1-8
Commento di suor Maria Vanda Penna, FMA

 

Avvento. “Sempre è tempo di Avvento” diceva David Maria Turoldo. Gesù è infatti venuto e continua a venire nella nostra vita personale e nella storia del mondo, per salvarci dall’angoscia di giorni inquieti che sembrano non avere più fine. Ed ecco l’annuncio dell’evangelista Marco: “Inizio del Vangelo di Gesù Cristo…”, che fa balzare all’improvviso sulla scena “la voce” – Giovanni – e la PAROLA – Gesù.

L’antico testamento conferma gli eventi: gli Ebrei sono ancora schiavi in Babilonia, ma è già sorto Ciro di Persia che tra poco manderà in pezzi il potente impero babilonese e consentirà agli Ebrei di tornare alla loro terra per ricostruire il tempio di Gerusalemme. Questo, più di cinquecento anni prima della nascita di Gesù, ci racconta il deutero–Isaia, citato da Marco e applicato al Messia.

Chi farà oggi tornare dal volontario esilio il mondo uscito per amore dalle mani di Dio e proiettato poi lontano da Lui dalla presunzione di voler essere come Lui “conoscendo il bene e il male”? Chi, se non il Salvatore, Gesù, che rovescia le posizioni e “pur essendo nella condizione di Dio, […] svuotò se stesso assumendo una condizione di servo, diventando simile agli uomini?” (Fil 2, 6- 7).

La citazione di Isaia offerta da Marco si trova nella parte iniziale del Libro della consolazione,  presente nella prima lettura di questa domenica.

Quando la Scrittura viene proclamata, non si tratta di fare memoria di parole e di eventi del passato: la Parola è per noi, oggi e qui. A noi perciò è rivolta la consolazione che questa parola annuncia, ad una condizione: che ci lasciamo consolare, che cioè sappiamo essere profeti e bucare la scorza degli eventi che oggi ci sconquassano per scorgervi una promessa di salvezza.

Il deserto è la nostra vita, oggi più che mai messa alla prova. Nella Bibbia il deserto è, sì, luogo pericoloso, di durissima solitudine, ma anche luogo di incontro appassionato con Lui. “La condurrò nel deserto e parlerò al suo cuore […] e tu conoscerai il Signore” dice il profeta Osea (Os 2, 16.22).

Solo dopo essere stati consolati, cioè, solo dopo aver fatto esperienza profonda di Lui possiamo consolare. Tante persone oggi ne hanno un immenso bisogno.

Il deserto biblico è anche luogo di passaggio da schiavitù a libertà, che oggi va inteso non come luogo fisico, ma come ricerca della libertà dal peccato per poter volgere pienamente il cuore a Dio. Il Battesimo di Giovanni a questo è finalizzato: morire al peccato, mentre il battesimo di Gesù ci porta dalla morte alla vita nuova in lui.

Marco registra che la gente accorreva a Giovanni da tutta la Giudea: un confuso desiderio di cambiamento spingeva quelle folle a rivolgersi a Giovanni, perché credibile, libero da ogni aspetto e ricerca mondana e perché annuncia una verità che lo supera. “Viene dopo di me colui che è più forte di me […]”: queste parole lasciano intravedere una salvezza non sociale o politica, ma uno spazio dove posare il cuore, inquieto per l’inconsapevole ricerca di colui che” battezzerà in Spirito Santo”. Perché il destino di ogni uomo e di ogni donna, anche se non lo sa, anche se non osa crederlo, è l’approdo felice in Lui.

Chissà se sapremo essere umili profeti dell’amore misericordioso del Padre, preparandogli un sentiero diritto lungo il quale possa procedere con in mano la storia del mondo di cui sia riconosciuto unico Signore?