La scuola non si cambia accessoriandola

di Marco Pappalardo

 

Ora che gli insegnanti hanno iniziato le attività di preparazione per il nuovo anno scolastico, speriamo ci si metta presto alle spalle il continuo dibattito sul “Green Pass”, risolvendo la modalità di controllo nel più breve tempo possibile; non che non sia importante, ma non si è discusso di altro così come l’anno scorso in continuazione dei banchi con le rotelle, con il risultato che a novembre si era già in DAD.
La scuola non cambia accessoriandola in un modo o nell’altro, bensì con riflessioni serie e scelte concrete, affrontando questioni educative, culturali, formative e relazionali.

Magari si discutesse la prossima estate con lo stesso ritmo intenso di almeno una di queste quattro questioni!

La pandemia ha portato alla luce numerose fragilità già esistenti e non basta augurarsi di restare sempre in presenza per superarle, poiché il rischio – anche nell’uso delle parole di chi opera nel settore – è di tornare alla “normalità”; ma quale “normalità”? Quella della dispersione e dell’abbandono nell’età dell’obbligo? Non derivano dai recenti problemi, si sono accentuati certamente e ora qual è la strategia per ridurli? Che sforzi sono stati fatti dalla politica (mettendoci anche i soldi!) per affrontarli? Le attività estive? Cosa buona, per carità, ma chi non va a scuola quando si dovrebbe, non credo che l’abbia scelta d’estate e comunque, onestamente, i numeri sono stati esigui sul territorio nazionale. I singoli istituti operano in tal senso, tuttavia sappiamo quanto in certi contesti sociali il fenomeno sia accentuato e non si possa lasciare tutto alla buona volontà delle comunità scolastiche locali.

Dal vaso di Pandora aperto dal virus è venuta fuori pure la consapevolezza di non poter accedere tutti e allo stesso modo agli strumenti tecnologici e alla connessione internet, oltre all’analfabetismo informatico e alla mancanza di un vero percorso educativo costante alla cittadinanza digitale sin da piccoli e fino alla maturità. Sono stati destinati dei fondi per il comodato d’uso dei devices ed è cosa buona, ma quest’anno come andrà? E all’interno delle ore obbligatorie di Educazione Civica quanto spazio trova la formazione sul tema, che non è solo trattare del cyberbullismo qualche ora?
Per non parlare delle polemiche puntuali di ogni mese di giugno sugli scadenti dati INVALSI, scaricati sulla DAD, tuttavia già precedenti agli ultimi due anni; polemiche puntuali e allo stesso tempo inutili anche perché le prove a cui gli studenti sono sottoposti riguardano solo alcune materie (fondamentali sì, ma non considerano le varie intelligenze), sono a tempo (come se si è bravi e capaci esclusivamente in relazione alla velocità), senza motivazione (raramente gli studenti si concentrano presi dalle vere verifiche scolastiche) e parziali (essendo a campione).

Che c’entra quest’ultimo passaggio? C’entra, poiché perderci tempo svia dai temi fondamentali che sono il cuore della scuola, quelli per cui alcuni studenti – nel periodo di chiusura forzata – hanno persino detto l’indicibile e cioè “mi manca la scuola” e per cui ora preparano con più o meno emozione penne, matite, diario, zaino, libri, quaderni, tablet, look, outfit e mascherina. Intanto la maggior parte dei docenti, del personale e dei dirigenti è scesa in campo per operare bene e meglio, magari con meno burocrazia e più vita reale, forse anch’essi con una certa emozione e – speriamo – con tanta passione per l’educazione e per le discipline.