Spatriati

da | 29 Mag 2023 | Libri, Giovani

Spatriati              Mario Desiati                      Giulio Einaudi 2021              Premio Strega 2022

 

“Spatriète”

Il titolo di questo romanzo è il termine italianizzato del dialettale spatriète, che non si riferisce soltanto, alla lettera, a chi è andato fuori dalla propria patria intesa come terra natìa ma, spesso, nell’accezione locale, a coloro che sono senza radici, vaganti senza meta, senza punti di riferimento nella costruzione del futuro, persone dal barcollante passato, alle volte anche senza un padre che ne definisca l’appartenenza intesa come valori culturali e morali di riferimento. I due protagonisti, Francesco Veleno e Claudia Fanelli, sono l’incarnazione di questo significato: due adolescenti di Martina Franca la cittadina dell’autore; essi appartengono alle tipiche famiglie della borghesia paesana che vive il piano sdoppiato di ciò che è e di ciò che appare, ciò che sono e vivono sono spesso dimensione contrapposta rispetto all’immagine che offrono di sé; una famiglia, quella di Francesco, all’apparenza più anticonformista e l’altra, quella di Claudia, un po’ più inquadrata in uno standard sociale, ma entrambe incuranti delle ricadute che le scelte genitoriali possono avere sui figli.

 

Francesco e Claudia

Francesco e Claudia tentano a lungo di smarcarsi dalle scelte dei propri genitori, dal vuoto sentimentale che questi hanno creato in loro, ma sembra che ogni loro scelta sia, invece, il tentativo riuscito di fare peggio di loro, in un crescendo continuo di comportamenti autolesionisti. Soprattutto nel caso di Claudia le scelte sentimentali, oltre che dal vago sentore edipico (si lega inizialmente a uomini molto più grandi di lei), sono anche profondamente infantili poiché improntate alla ricerca dell’attenzione paterna ormai rivolta, invece, solo alla madre di Francesco della quale l’uomo sembra essersi davvero innamorato. Il padre di Claudia e la madre di Francesco, con la loro storia più o meno ipocritamente clandestina, rompono definitivamente degli equilibri che erano già tanto precari.

Tutti gli adolescenti vivono scelte nelle quali si evidenzia la ricerca di definizione della propria personalità, e anche questi due personaggi iniziano la propria ricerca in modo provocatorio; la sfida è verso le famiglie, il paese, la mentalità sociale comune, sé stessi; trattandosi di due ragazzi meridionali è ancora più forte il tema dell’allontanamento, non solo dalla casa paterna ma anche dal territorio.

 

Lasciare e partire

Il fenomeno della “fuga dei cervelli” oggi non è più legato solo al meridione e, se l’esigenza di lasciare un luogo senza opportunità è da sempre la triste sorte dei giovani meridionali, ormai da qualche tempo anche dai luoghi che nel passato hanno sempre offerto opportunità si parte alla volta di Londra, Berlino, Sidney. Francesco tenta, inizialmente, di restare; Claudia è la prima a scegliere la partenza perché in lei è più forte l’esigenza del distacco: è più sicura di sé e ha la certezza che in questa scelta vi sia la vera crescita. Nessuna delle certezze che questi due ragazzi credevano di avere si dimostrerà davvero tale, così come Milano, Londra e Berlino che si presenteranno, ai loro occhi, contrariamente a quanto speravano, come i cliché ampiamente narrati su queste città. Claudia si rivelerà la tipica espatriata intransigente con il proprio luogo di origine, Francesco avrà sempre un atteggiamento diverso: disincantato, spesso cinico, ma non inquadrabile nella categoria degli schierati a favore o deliberatamente contro; non solo, ma Francesco si chiede anche per quale motivo ci si aspetta sempre che ognuno debba affrontare le esperienze della vita mostrando la forza indistruttibile dei tipici massi pugliesi, in fondo le pietre non hanno tutta questa stabilità, franano; egli stesso, però, ricorda a Claudia che sono quelle stesse pietre la base per la costruzione di trulli e masserie, ovvero le fondamentali strutture abitative locali e, in tutto questo, nonostante l’apparenza, non vi è contraddizione.

 

Tornare

Sarà Francesco a tornare, a tentare di costruire qualcosa nella terra d’origine, anche se a lunga scadenza dato che i frutti del suo impegno potranno essere visibili solo da quel momento negli anni a venire, sfidando il tempo ed il male oscuro che sta distruggendo le grandi ed eterne radici comuni rappresentate dai meravigliosi ulivi, il cancro rappresentato dall’odiata Xylella. Forse perché Francesco per primo comprende quale sia l’Amore che da sempre ha in fondo al cuore, e che ha cercato con mille incertezze ovunque, o forse perché gli brucia ancora quella frase: “sei come i siriani che scappano dai problemi e non trovano nessuno”, pronunciata da suo padre in un momento di rabbia, e sente di dover dimostrare qualcosa ad entrambi. Nella narrazione assistiamo alla ricerca continua: ricerca di modelli ai quali aderire, appartenere, rifiuto e ricerca di nuovi, appartenenza ad una cultura e ad una terra, e rifiuto e ricerca di una nuova e personale, appartenenza anche a modelli affettivi e sessuali e loro superamento. Bisogna fare l’esperienza di cadere in un pozzo e riemergere (cfr. Alba de Céspedes) consapevoli di quanto si è affrontato e superato, e non tutti riescono a riemergere.

 

Il viaggio metafora della vita

Forse Desiati si ispira liberamente, nella costruzione di questa amicizia, alle Lettere tra Sibilla Aleramo e Dino Campana riportate in Un viaggio chiamato amore del quale si trova citazione in questo racconto; il viaggio: ancora una volta è metafora della vita, vero e proprio spostamento di sede, tessitura di relazioni; nelle incertezze palesate dagli adulti e vissute dai due protagonisti l’unico punto saldo e senza infingimenti è proprio la loro relazione d’amicizia, inalterabile, solida, un centro di gravità permanente che, in fondo, non resta sempre uguale a sé stesso nel corso degli anni, poiché matura con le esperienze dalle quali i due imparano a crescere, un viaggio insieme che non li rende così tanto Spatriati.

 

Cangiando spesse volte il luogo della mia dimora,
e fermandomi dove più dove meno, o mesi o anni,
m’ avvidi che io non mi trovava mai contento, mai nel mio centro,
mai naturalizzato un luogo alcuno, 
comunque per altro ottimo, 
finattantoché io non aveva delle rimembranze da attaccare a quel luogo
… non consistevano in altro che poter dire –qui fui tanto tempo fa –

Giacomo Leopardi, Lettera a Pietro Giordano