21^ Domenica del Tempo Ordinario

23 agosto 2020 – Anno A

Vangelo di Matteo 16,13-20

Commento di suor Patrizia Colombo, FMA

 

Nel racconto di Matteo, il brano di Vangelo che oggi la liturgia ci propone è preceduto da un concentrato di fatti che ci mostrano Gesù in cammino coi suoi discepoli in mezzo alla gente, lungo le strade della Palestina.

La gente è attratta da Gesù, lo cerca, lo chiama, si attende qualcosa da lui, lo acclama; questi uomini e queste donne hanno visto i segni che compie, sono guidati dal “fiuto del gregge” che riconosce il buon pastore e lo segue. Certo non hanno capito tutto, ma hanno intuito che in quest’uomo c’è del divino, Dio parla con la sua voce, il suo sguardo, le sue mani. Tra la gente ci sono anche i farisei, loro però si ostinano a chiedere un segno (Mt 16,1) e non si capisce di quale altro segno abbiano bisogno. Loro, i Maestri della Legge, possibile che abbiano capito meno della folla? Forse invece hanno capito fin troppo bene chi è Gesù, ma il suo insegnamento risulta scomodo e non corrisponde ai loro schemi prestabiliti e consolidati, quindi, meglio cercare di metterlo in difficoltà, piuttosto che provare a lasciarsi mettere in discussione.

E poi i discepoli, gli amici intimi, quelli più vicini, che però più volte non capiscono: non capiscono le parabole (Mt 13,36); dopo la moltiplicazione del pane per migliaia di uomini e donne, sono ancora lì a preoccuparsi di non aver preso il pane per il viaggio (Mt 16,7), sembra che non abbiano memoria dei segni e delle parole del Maestro, non capiscono ancora (Mt 16,8; 11). In tutta questa realtà che si è creata attorno a Gesù, è più che lecita la sua domanda: “Chi sono io per la gente? E per voi, chi sono io?”.
È la domanda che nasce quando ci si conosce da un po’ di tempo, quando è da un po’ che ci si frequenta, quando si è superata la scoperta della novità e si va in profondità nel rapporto. “Chi sono io per te?”. E qui si scopre che ciò che ci definisce è la relazione; per poter dire chi è una persona dobbiamo per forza pensarla nelle sue relazioni, è l’altro che mi fa esistere, che dice chi sono, sia che io entri in rapporto con lui sia che io lo rifiuti, nessuno può dire in astratto di essere in un modo o in un altro, è l’incontro che ci modella e ci fa essere.

Per “definire” Gesù, per dire “chi è” veramente, per capire qualcosa di lui, di quello che dice, di quello che fa, bisogna pensarlo nella relazione filiale con Dio, bisogna pensare che, se lui è il Cristo, cioè l’inviato, c’è un Padre che invia; se lui è il Figlio, c’è un Dio che è Padre e questa relazione è inscindibile e concreta, tanto da manifestarsi a noi, tanto da prendere carne. Che cosa grande! Ci è dato di credere in un Dio che è comunione, legame, appartenenza reciproca, relazione; un Dio che non può stare solo, un Dio che non può “evitare” di farsi vicino. Di fatto, Gesù sta con gli apostoli, cammina con loro, vive con loro, a loro insegna.

E in questo “stare”, ad un certo punto Simon Pietro ha una rivelazione gratuita da parte di Dio, un dono, perché solo per dono si può intuire che Gesù è il Figlio di Dio. “Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente”. “Beato te, Simone, perché il Padre te lo ha rivelato”. Di certo Simon Pietro si sarà reso conto di aver detto qualcosa di più grande di lui; lui che era un pescatore, uno che non insegnava nelle sinagoghe, uno che non sempre brillava per intuizione o sensibilità! Dono dello Spirito! La forza dell’amore del Padre e del Figlio trasborda, si trasmette, dona un lampo di luce.

Dobbiamo riconoscere effettivamente che questo accade a volte anche per noi: arriviamo fino ad un certo punto con le nostre conoscenze, poi è solo il lampo della grazia dello Spirito che ci apre agli orizzonti di Dio. A noi è chiesto di essere umili, di saper ascoltare, di “frequentare”, di accogliere ciò che sembra inspiegabile. Eppure, tutto questo non basta per capire qualcosa dell’intima identità di Cristo.

Tanti di noi è da un po’ che “frequentiamo” Gesù, eppure rischiamo di “sapere cose” di lui, di intuire di lui che è un profeta, come hanno fatto la folla e anche i farisei, ma di conoscerlo un po’ “da manuale, da catechismo”. Abbiamo bisogno di un di più, abbiamo bisogno di lasciarci penetrare dallo sguardo di Gesù puntato su di noi che ci dice: “MA io PER TE chi sono? Quanto c’entro con la tua vita?”

Se Gesù si è sentito riconosciuto in quel “Tu sei” pronunciato da Simon Pietro, anche Pietro avrà trovato la verità di sé stesso in quel “Tu sei Pietro” uscito dalle labbra di Gesù. Quanto anche ognuno di noi ha bisogno di stare con Gesù e lasciare a lui la possibilità e il diritto di dirci chi siamo, di svelare qual è la verità di noi stessi, di definirci, di “darci del tu”!

E poi però, dopo un attimo di estasi, per Pietro, come per noi, si torna a fare i conti con la nostra povertà. Già, perché subito Gesù chiede a Pietro di non rivelare adesso ad altri quello che il Padre gli ha fatto conoscere, di aspettare. Ma aspettare che cosa?
Nei versetti che seguono e che oggi non ascoltiamo nella liturgia, Gesù “comincia a dire chiaramente ai suoi discepoli che egli deve andare a Gerusalemme e soffrire molto” (Mt 16,21). Questo non corrisponde esattamente a ciò che Pietro si aspettava dal Cristo ed è per questo che interviene “rimproverando” il Maestro. “Tu non pensi secondo Dio, ma secondo gli uomini” (v.23) si sentirà rispondere da Gesù.

Ed è così: possiamo avere delle intuizioni su Gesù, possiamo sentire con lui un legame intimo, profondo, possiamo avere anche attimi in cui si sembra di toccare il Cielo con un dito, ma quanta strada prima di arrivare a “pensare come lui”, prima che i nostri sentimenti siano quelli di Gesù, prima di sentire davvero Gesù dentro le nostre giornate, le nostre scelte, i nostri rapporti, le nostre gioie e le nostre sofferenze! Quante cadute!
Gesù lo sapeva anche di Pietro, anche quando a Pietro ha affidato “le chiavi del Regno” sapeva di farlo con una persona che non era perfetta seppure aveva avuto una rivelazione dal Padre, che ancora avrebbe sbagliato, che avrebbe avuto bisogno di vedere cosa voleva dire essere il Figlio di Dio prima di andare a proclamarlo al mondo, che aveva bisogno di “andare dietro a lui”, di seguirlo ancora a lungo, di passare dalla Croce. Forse era Pietro a non averlo ancora compreso bene.

E qui c’è tutta la tenerezza di Gesù che, dopo aver confermato la confessione di fede di Pietro, si trova a doverlo rimproverare perché non pensa secondo Dio, ma secondo gli uomini, e poi però, ci racconta ancora il Vangelo di Matteo, sei giorni dopo, “prende con sé Pietro, Giacomo e Giovanni e li conduce in disparte su un monte” e lì li rende partecipi della sua trasfigurazione (Mt 17,1-2). Li prende con sé. Viene in mente l’immagine delle “montagne russe”, dove si toccano picchi altissimi e poi si precipita in volata, per risalire ancora, lentamente condotti. Gesù si rivela davvero il Maestro che non si ferma di fronte alle nostre cadute, alle nostre piccolezze, che non pensa a sé, ma raccoglie ognuno di noi e ricomincia da capo, con tanta pazienza, a rispiegarci con la vita chi è lui e chi siamo noi!

Questa rivelazione reciproca si concluderà solo quando saremo faccia a faccia con lui, finché rimaniamo su questa terra la nostra risposta alla domanda di Gesù continuerà a modificarsi, come si modificano, si intensificano, si complicano a volte, i rapporti tra gli amici veri. Una sicurezza però possiamo mettere sulle labbra di Pietro e farla nostra: “Tu, Gesù, ci sei necessario”.

TU CI SEI NECESSARIO

O Cristo, nostro unico mediatore, Tu ci sei necessario:
per vivere in Comunione con Dio Padre;
per diventare con te, che sei Figlio unico e Signore nostro, suoi figli adottivi;
per essere rigenerati nello Spirito Santo.

Tu ci sei necessario,
o solo vero maestro delle verità recondite e indispensabili della vita,
per conoscere il nostro essere e il nostro destino, la via per conseguirlo.

Tu ci sei necessario, o Redentore nostro,
per scoprire la nostra miseria e per guarirla;
per avere il concetto del bene e del male e la speranza della santità;
per deplorare i nostri peccati e per averne il perdono.

Tu ci sei necessario, o fratello primogenito del genere umano,
per ritrovare le ragioni vere della fraternità fra gli uomini,
i fondamenti della giustizia, i tesori della carità, il bene sommo della pace.

Tu ci sei necessario, o grande paziente dei nostri dolori,
per conoscere il senso della sofferenza
e per dare ad essa un valore di espiazione e di redenzione.

Tu ci sei necessario, o vincitore della morte,
per liberarci dalla disperazione e dalla negazione,
e per avere certezze che non tradiscono in eterno.

Tu ci sei necessario, o Cristo, o Signore, o Dio-con-noi,
per imparare l’amore vero e camminare nella gioia e nella forza della tua carità,
lungo il cammino della nostra vita faticosa,
fino all’incontro finale con Te amato, con Te atteso,
con Te benedetto nei secoli.

(S. Paolo VI – dalla lettera pastorale all’Arcidiocesi “Omnia nobis est Cristus” per la quaresima 1955)