Sr Ada nella “periferia“ del carcere

da | 11 Nov 2014 | Giovani

È passato molto tempo da quell’11 febbraio 2014 che mi ha visto varcare per la prima volta le porte di San Vittore. Ormai posso dire che la frequenza è davvero assidua.

Di sr Ada Traldi

Vado a S. Vittore tre giorni alla settimana. Preparo gli incontri con i detenuti con la preghiera. Molti di loro sono dei “poveracci”, dei disperati, che hanno svuotato, distrutto la loro vita, abbandonati ora da tutti. Penso ad ADAM, il giovane del Gana di 32 anni che, a picconate, il 15 aprile 2013 ha ucciso, qui a Milano nella zona Niguarda, tre persone che ebbero unicamente la sfortuna di trovarselo di fronte in preda alla follia.

Ebbene Adam, dopo 1 anno e 4 mesi di isolamento totale, lo incontro due volte alla settimana per insegnargli la lingua italiana. In realtà, anche se al riguardo incomincia a fare qualche progresso, è soprattutto un cammino quello che abbiamo iniziato, un cammino perché egli impari a relazionarsi, ritrovi la propria umanità, quella vera, quella che gli permette di superare “la rabbia verso il mondo” e lo aiuta a ritrovare la forza di essere “persona”!

Penso a MARCELLO, il ragazzo di 22 anni di Carugo (Como) che il 10 agosto 2014 ha ucciso la sua mamma. Quando i carabinieri sono entrati nella sua villetta, allertati dai vicini di casa che avevano sentito le urla disperate di mamma Mariangela (55 anni), Marcello le sedeva accanto dicendo:  “Svegliati!”

Il 15 ottobre quando Marcello si è seduto accanto a me, non sapevo come iniziare il dialogo. “Come va? Come stai?” Ho mormorato queste parole e Marcello, senza alzare lo sguardo, ha incominciato a raccontarmi della sua cella, della persona che è con lui rimarcando che è un tipo ansioso, che trema quando mangia, che è disordinato… “Tu, Marcello come ti senti?” La risposta è stata inaspettata e terribile e pronunciata con una calma che mi ha lasciata stordita: “Io sono qui perché ho ucciso mia mamma e nessuno della mia famiglia mi vuol vedere… Ho il papà, tre fratelli… Forse verrà mia sorella… Non so… Sono solo!” A questo punto ha puntato gli occhi su di me quasi per carpire i miei pensieri… Anch’io l’ho guardato e gli ho ricordato che nessuno, proprio nessuno, anche se si è macchiato di colpe gravissime, è abbandonato da Dio. Lui ci ama nonostante la nostra cattiveria. A questo punto gli ho dato un cioccolatino, per addolcire anche la nostra profonda emozione. L’ho guardato e gli ho detto: “Ecco Marcello io vorrei proprio aiutarti a superare questo momento tanto difficile!” E Marcello, di scatto si è alzato e… mi ha abbracciata dicendomi: “Allora posso considerarti mia amica?” A questo punto il dialogo si è fatto quasi familiare e Marcello mi ha chiesto un paio di calzini dicendomi che aveva freddo. Mentre poi si allontanava, scortato dai poliziotti, si è voltato verso di me sussurrando: “Ti aspetto!”

Ultimamente, ho incontrato ANTONIO 18 anni, che ha come casa la strada. Mi ha chiesto di andare al carcere di Bollate dove sono reclusi la mamma e il papà. Nonostante le difficoltà, riesco a incontrare i genitori di Antonio. Al mio ritorno , si commuove quando gli parlo del suo papà! La sua mamma, parlando con me, aveva pianto, ma anche lui a stento trattiene le lacrime e mi dice: “Posso venire a parlare con te ogni martedì?”

C’è chi mi ha detto e sono in molti, che sarebbe meglio che occupassi il mio tempo in modo più saggio e proficuo, che mi mettessi al servizio di chi veramente lo merita…

Che cosa posso rispondere?