Per un’Italia del quotidiano

…e non solo delle “inaugurazioni” e dei “primi annunci”

Di Andrea Lonardo

Non si tratta di iniziare, si tratta di proseguire e di aggiustare giorno dopo giorno.

Non si tratta di realizzare una strada, ma di avere pronta una squadra di “stradini” che ogni giorno, anno dopo anno, decennio dopo decennio, secolo dopo secolo, si alzi al mattino per riparare le buche.

Quanta architettura moderna è stata progettata senza pensare al domani, senza pensare a chi dovrà lavare, quando la polvere annerirà le vetrate più alte e il ferro del cemento armato arrugginirà le strutture. Nessuno sembra accorgersi che edifici famosissimi (si pensi anche  ai grattacieli o alle case di Le Corbusier) invecchiano rapidamente e, presentati come splendidi il giorno della loro inaugurazione, non reggono al passo del tempo, dopo pochissimi anni dal loro primo utilizzo.

Anche l’edilizia ecclesiastica è spesso in mano a ditte che si preoccupano di strappare l’appalto, non del domani della vita della comunità parrocchiale.

Ma tutto questo vale anche per la scuola, l’educazione e la catechesi. Non basta il “primo” annunzio. Serve ancor più l’amore per l’ordinario, per la messa domenicale, per la confessione che “ripara”; per l’oratorio, per i campi estivi dei gruppi giovanili ed il cammino dei giovani man mano che dal liceo passano all’università e poi si sposano, e così via.

Serve una comunità dalla quale, se a qualcuno capita di allontanarsi, la ritrovi stabile se decide di tornare. Non basta moltiplicare figliol prodighi all’infinito, servono anche padri che restino ad abitare una casa.

Non sono sufficienti comunità fatte solo di persone con cammini “peculiari”, servono comunità ordinarie, abituate al tran tran della vita quotidiana. Una comunità che disprezzi la vita ordinaria, le prime Comunioni, l’oratorio estivo, lo scautismo, le tradizioni, le feste popolari, la nascita e la morte, la vecchiaia e l’infanzia, non potrà mai essere ordinaria. Cercherà cammini “unici”, stratosferici, che alla fine non saranno quelli della vita vera, che deve sempre essere “manutenuta”.

Vita è uguale a manutenzione, a routine, ad ordinarietà.

Anche i social sembrano essere catapultati verso velocità sempre maggiori – non è insensibile il passaggio da FB a qualcosa di ancor più veloce che è Instagram con le sue storie che vengono cancellate nel giro di 24 ore: ciò che dura sembra non interessare, mentre in realtà ciò che dura è l’unica cosa interessante!

Non esiste una vita che non guardi a ciò che stancamente si ripete; la vita è vera proprio quando si ripete stancamente (nel senso migliore del termine, perché ci si “stanca”, ci si “affatica” nell’ordinario).

La famiglia ne è l’esempio più evidente. Ciò che tiene nella famiglia è esattamente il fatto che essa è ordinaria e quotidiana. Non è uno slancio, un flatus, un irrompere.

È vero pure nella vita sociale e politica. Si tratta non solo di salvare in mare, ma di integrare nel lavoro e nella cultura. Non di dare qua e là denari a perdere, ma di ridurre le tasse e promuovere il lavoro. Si tratta non di dare i 18 politici all’università o alle superiori, ma di uno studio serio e diuturno.

Si tratta di puntare sui tempi lunghi e in prospettiva “Popolare”, in un discorso che deve coinvolgere tutti. Facendo memoria dei “progetti” che hanno attraversato i secoli. L’esperienza è propria di chi conosce la dimensione “tempo” ed ha “sperimentato” ciò che dura, ciò che resta, ciò che è vero da millenni (e non lo baratta per l’effimero che dura il tempo di un mattino), i punti di riferimento che sostengono il cammino.

E che accetta di abbassarsi alle riparazione di ogni giorno, a quelle sciocche riparazioni e revisioni quotidiane, che sono il nutrimento della vita.

Fonte: gliscritti.it