La casetta per le mamme detenute

Di Annalisa Teggi

 

Renzo Piano ha inaugurato un piccolo spazio di affettività familiare per le mamme che vivono in carcere.
Idea di 3 giovanissimi architetti e facilmente replicabile in altri istituti: il carcere può rammendare i tagli, non solo punire.

 

Una casa nella periferia dei cuori

Rebibbia è la periferia della periferia. Si trova nella periferia di Roma, raccoglie vite alla periferia dell’umano. Il carcere è uno spazio scartato, dai nostri sguardi e dall’urbanistica. Che non sia d’inciampo alla vista, un istituto di pena – pensiamo. Tutt’al più ci cade l’occhio sull’ennesimo trafiletto che li denuncia come luoghi sovraffollati.

La funzione rieducativa della pena è solo una bella frase della nostra bellissima Costituzione? E chi poi deve essere rieducato? Solo il detenuto, quello che ha sbagliato?

Tre giovanissimi architetti hanno rieducato il loro sguardo, immaginando che anche un luogo ferito e duro come Rebibbia potesse ospitare un nido di affettività. Si chiamano Attilio MazzettoMartina Passeri Tommaso Marenaci e hanno realizzato Ma.Ma, una piccola casetta per l’affettività e la maternità all’interno delle mura del carcere. Qui le detenute potranno consumare un pasto coi propri familiari in visita e prendersi un tempo di intimità coi propri figli.

La struttura – una casetta rossa dal profilo semplice, come il disegno stilizzato di un bimbo – è stata costruita con la collaborazione delle detenute.

Rebibbia ospita attulamente 320 detenute. I lavori per la costruzione della casa, che è stata realizzata in collaborazione con l’Università e la Facoltà di Architettura, si erano già conclusi nel 2019. I lockdown hanno impedito di procedere alla fase di apertura, ma adesso questo progetto vede finalmente la luce del sole.

 

Renzo piano e l’epica del rammendo

I giovani architetti che hanno ideato questo spazio sono borsisti del progetto del G124 di Renzo Piano, un gruppo di lavoro sulle periferie del nostro paese. Ieri, 19 ottobre, Renzo Piano era presente all’inaugurazione della casetta Ma.Ma e ha incorniciato il senso di questa ‘piccola cosa’ nell’idea di rammendo che lo guida in questo tempo.

Con i suoi 28 metri quadrati, questa casetta, circondata dal verde di un boschetto che la rende ancora più accogliente, rappresenta uno dei “rammendi” pensati per le periferie del Paese:
“Una scintilla in un tema complesso come quello delle carcere, ma – ha sottolineato l’architetto senatore – le scintille contano”.
Il progetto nasce infatti dall’idea secondo cui “il carcere non deve essere punizione e vendetta, piuttosto 
un luogo in cui si cambia”.

 Da Tgcom24

Così Piano, usando una semplice parola, sa tessere una lode al mondo femminile e dare una carezza a donne che stanno ricucendo i loro strappi. Rammendare è il verbo delle mamme e delle nonne, un gesto di cura quotidiano che racconta più di mille tomi sul femminismo il presidio sulle ferite che la donna abita. E quando è la donna ad avere un brutto taglio nella sua storia chi la rammenda?

 

Abitare la cura

Anche questa piccola presenza nel carcere di Rebibbia la appunteremo tra i segni positivi raccolti in tempo di pandemia. L’abbaglio del buttare via, fare piazza pulita ci attanaglia. Il rammendo invece è frutto di un’opera che presuppone una materia lacerata per poter agire.

E’ bello che la voce dell’architettura ci mostri qualcosa che non è l’ultimo grattacielo futuristico nel quartiere di lusso. C’è una vera ecologia anche in questa specie di edilizia che s’infila nella periferia della periferia per dire che è abitabile, non per fare tabula rasa.

Questa casetta rossa ricorda un grembo, un seme di rinascita possibile. I progettisti assicurano che è un modello semplice e replicabile in altri carceri. Auguriamocelo. Ed è questo il passo giusto, cambiare un metro quadro alla volta, ritagliare piccoli spazi di cura, accudire un’anima alla volta.

 

 

Fonte: Aleteia