La malattia che mi ha insegnato a volare

Di Luigi Alfonso

 

La storia di un malato di Sla che ha visto la sua vita stravolta da un giorno all’altro. Il suo impegno all’interno di Aisla, Fish e Fly Therapy, la Onlus che consente a bambini e ragazzi di fare un’esperienza straordinaria

 

«Non arriverò a dire che, grazie alla Sla, sono diventato un uomo diverso. Però la malattia che mi uccide, mi ha insegnato a volare . E mi ha dato tanta forza e la possibilità di fare delle esperienze che altrimenti non avrei fatto, quasi sicuramente. Se non avessi la Sla, sarei stato una persona sana ma forse meno sensibile». Vincenzo Soverino non utilizza a caso la parola “volare”; parafrasando il titolo di un libro di Mario Melazzini , l’ex direttore generale dell’Aifa, ci ricorda che di recente è stato eletto presidente nazionale di Fly Therapy , di cui è stato coordinatore nazionale sino al 31 dicembre scorso. I suoi impegni non si fermano qui: da alcuni anni fa parte del consiglio nazionale dell’Associazione italiana sclerosi laterale amiotrofica , di cui è stato per due mandati vicepresidente nazionale, e della Fish . Insomma, tante battaglie a favore dei malati e dei disabili.

«Sono volontario a tempo pieno», commenta». La Fly Therapy è una Onlus che mi sta regalando gioie indescrivibili, perché ci consente di far volare persone con tutte le disabilità. In particolare, veder sorridere i bambini quando scendono dall’aereo, è impagabile. Perciò la malattia, sotto questo profilo, è diventata una opportunità».

 

Tutto filava liscio, sino a quando…

«Nel 2005 mi fu diagnosticata la Sla dopo una serie infinita di accertamenti clinici. Si è andati per esclusione. Oggi è più semplice fare la diagnosi, sono stati fatti molti passi avanti. Nel settembre del 2006 sono andato in pensione, a 49 anni: ero già seduto sulla carrozzina. Ero caporeparto di un’azienda dell’Astigiano. È cambiata completamente la mia vita, e purtroppo è cambiata anche quella dei miei familiari perché questa malattia coinvolge anche loro, inevitabilmente».

 

Le è crollato il mondo addosso.

«Non è stato facile abituarsi a accettare la realtà, non poter giocare a pallone o andare in piscina, non poter andare per funghi o fare tante altre attività cui ero abituato. Chiedevo a me stesso e a Dio: perché proprio a me? Un giorno, però, mi sono svegliato e ho rovesciato la prospettiva: perché non sarebbe dovuto capitare a me? Ho avuto i miei momenti di sconforto, ma l’accettazione mi ha permesso di guardare avanti e trovare nuovi obiettivi e prospettive. Credo che Dio, attraverso questa malattia, mi abbia chiesto di fare qualcosa per i malati e i disabili».

 

La Sla oggi è conosciuta, se ne parla di più e ci sono numerose strutture specializzate.

«È cambiato il mondo, negli ultimi 15 anni. Prima si assisteva ai viaggi della speranza dal Sud al Nord. Oggi ci sono i Centri Sla un po’ in tutta l’Italia, e ci sono i Centri clinici Nemo per le patologie neuromuscolari . La ricerca è andata avanti. Io, a suo tempo, ho avuto la fortuna di accedere agevolmente alle Molinette di Torino perché abito ad Asti. Ma tanta gente doveva farsi mille chilometri per farsi visitare in Piemonte o in Lombardia. Quello delle Molinette è un centro ad altissima specializzazione: il direttore di Neurologia 1 di quell’ospedale, Adriano Chiò , lo scorso dicembre ha ricevuto il Premio Forbes Norris, il massimo riconoscimento mondiale nel campo clinico della Sla. È un fiore all’occhiello tra i ricercatori italiani. E questo ci fa ben sperare».

Nulla su di noi senza di noi. Non voglio delegare nessuno, voglio essere protagonista della mia disabilità e della mia vita

Vincenzo Soverino

 

Chi colpisce la Sla?

«È ancora difficile da dire, non a caso al momento non c’è una cura specifica. Ci sono forme più o meno aggressive, ma non si conosce la causa. Ci sono territori più colpiti rispetto ad altri. Per fortuna, rispetto al passato, i vari centri di ricerca dialogano tra di loro e si scambiano le informazioni. Spero che riescano a trovare presto un farmaco adeguato».

 

Dicono di lei che sia un uomo di spirito.

«Cerco sempre di sdrammatizzare. Ho il diabete, problemi al fegato e produco 4-5 polipi all’anno, in buona parte maligni. Una volta, all’oncologo che doveva estrarli, ho detto: “Se io, vicepresidente dell’Aisla, dovessi morire a causa di un tumore, ci farei una figuraccia. Per favore, faccia il possibile per curare questi tumori”. Il medico è rimasto perplesso, poi ha sorriso e mi ha mandato a quel paese».

 

Questa è una malattia fortemente invalidante.

«Che ci mette nelle condizioni di avere necessità di attenzioni 24 ore su 24. La mia camera sembra una stanza d’ospedale, dormo con il respiratore. Purtroppo, non tutte le Regioni offrono adeguate coperture economiche per sostenere le spese necessarie, e questo è un problema comune ad altre gravi patologie. In Italia, ma anche nella stessa regione, ci sono interventi a macchia di leopardo. Questo è uno dei problemi più importanti da affrontare. Per dare un po’ di respiro ai familiari, abbiamo bisogno di una persona che ci segua nel corso della giornata. Bisogna uniformare il percorso in tutto il territorio nazionale, per non avere malati di serie A e di serie B. Molte famiglie si sono mangiate i risparmi di una vita per dare dignità a un loro caro».

 

Quanti sono i casi di Sla accertati in Italia?

«Di solito parliamo di seimila malati, in verità non è possibile essere precisi perché ogni giorno registriamo sia decessi che nuovi casi. Un tempo si parlava di 7-8 malati ogni centomila abitanti, in verità il dato non è così uniforme. Negli ultimi mesi, soltanto ad Asti, i nuovi casi hanno superato i decessi».

 

In tempi di pandemia, siete risultati tra i pazienti più fragili.

«La Sla colpisce anche l’apparato respiratorio, è chiaro che il Sars-Cov2 per noi può essere letale. Insomma, la Covid può essere molto pericolosa per me».

 

Quale consiglio si sente di osare a chi scopre di avere la Sla?

«Innanzi tutto, di non andare a consultare Internet: lì si trova di tutto, anche informazioni inesatte o comunque superate. Ci sono tanti centri specializzati, bisogna rivolgersi a loro. Gli occhi della paura non conducono da nessuna parte. Oggi i medici sono formati, la diagnosi precoce può aiutare moltissimo a rallentare la malattia».

 

Ha conosciuto migliaia di malati di Sla. Tante storie forti, spesso simili.

«Sì, c’è una matrice comune fatta di sofferenza. Prendo ad esempio il caso di un malato veneto che sono andato a trovare tempo fa. La moglie mi prese in disparte e mi disse, in lacrime: “Prego Iddio tutte le sere perché se lo porti via. Non ce la facciamo più. È facile che muoia prima io di lui”. Nonostante l’amore per il marito, era troppo grande il peso da sopportare. Ecco, non possiamo lasciare da sole le famiglie».

 

Un famoso astigiano, suo amico, era molto amato dagli italiani.

«Giorgio Faletti , già. La sua morte mi ha colpito profondamente. Vado di frequente a fargli visita in cimitero, qui vicino. La moglie ci aiuta spesso, durante gli eventi, e ormai fa parte della nostra famiglia».

 

Come è nata l’esperienza di Fly Therapy?

«Sono stato contattato da Alessandro Politi , che era il presidente nazionale della Onlus sino a due mesi fa. Lui e i Mammuth , comici di Zelig, mi avevano chiesto di dare una mano per sostenere l’attività. La collaborazione è andata ben oltre, e oggi sto per prendere il brevetto di pilota di ultraleggeri. Quest’anno, grazie a un generoso contributo dei Lions italiani che non finirò mai di ringraziare, acquisteremo un aereo tutto nostro per far volare bambini e ragazzi in tutto il Paese. Non so se riusciremo a comprarlo nuovo di zecca, ma ci proveremo. La cosa importante è regalare a questi ragazzi l’opportunità di una esperienza che li vede protagonisti: nel nostro aereo ci si sente liberi, non portiamo mai la carrozzina. È una scelta simbolica,a lasciamo a terra la carrozzina perché il bambino possa entrare in una dimensione nuova, diversa, di totale libertà. Come l’uccellino che vola via dal nido. Queste immagini me le sogno la notte e mi strappano sempre un sorriso. Fly Therapy è un grande messaggio».

 

Il suo motto è…

«Dico sempre: permettetemi di scegliere dove voglio andare, non laddove è accessibile. La disabilità è parte di questo mondo, non è un mondo a parte. Alla Fish, la Federazione italiana per il superamento dell’handicap, mi hanno insegnato una cosa: nulla su di noi senza di noi . Non voglio delegare nessuno, voglio essere protagonista della mia disabilità e della mia vita».

 

Fonte: Vita