Maìn, la giovane innamorata dell’Amore

“Papà, che cosa faceva Dio prima di creare il mondo?”
“Che cosa faceva? Contemplava se stesso, amava se stesso, adorava se stesso…”

Chi pone la domanda è Maìn, una bimba di quattro anni; chi risponde è un contadino della Mornese del 1800 che dialoga con la sua primogenita. Parole che rivelano un’impostazione familiare di grande spessore sapienziale.

 

Maìn nasce a Mornese da Giuseppe Mazzarello e da Maria Maddalena Calcagno. È la prima di tredici figli che i genitori attendono e mettono al mondo con gioia, perché amano la vita, Dio, il lavoro e guardano al futuro con speranza. In famiglia c’è anche Domenica, figlia dello zio di Maìn, rimasta orfana per la morte dei genitori durante l’epidemia di colera del 1836. Maìn è battezzata lo stesso giorno della nascita, il 9 maggio del 1837, e riceve il nome di Maria Domenica. Ma è più spiccio dire Maìn, cioè, nel dialetto mornesino, “piccola Maria” e così sarà chiamata.

La bimba fa subito presagire un’intelligenza sveglia e precoce oltre a una disponibilità quasi naturale a tutto ciò che è vero, bello e buono, grazie anche all’educazione che dai genitori, gente di grande fede, riceve. Educazione cristiana non solo come essi stessi avevano ricevuto, ma educazione che indica la santità come meta della vita. E intanto, col passare degli anni, intorno a Maìn crescono nuovi virgulti, sorelline e fratellini a cui comunicare con gioia e convinzione i valori che a lei fanno bella la vita.

Maìn non nasce santa: lo diventa tenendo a freno il carattere forte, la voglia di essere la prima, di comandare, di avere sempre ragione nelle discussioni. In paese la chiamano “la bula”, titolo che in dialetto piemontese si dà a chi è brava e sa di esserlo, quindi si sente in diritto di primeggiare. Ma ci pensa la sua guida spirituale, don Domenico Pestarino, a insegnarle la strada dell’umiltà e del rispetto del pensiero altrui.

È pure golosa e, racconta lei stessa da adulta, di aver fatto, da bambina, sotterfugi e detto bugie per arrivare a mangiare ciò che le piaceva. Non le piacciono le prediche e, se sono lunghe, non ascolta più, si distrae. Non le piace neanche andare a confessarsi e ad aiutarla in questa difficoltà pensa la mamma, invece molto assidua a questo Sacramento.

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Il fratello del padre abitava nella stessa casa, anche lui aveva vari figli e gli ambienti erano divenuti stretti. Perché, pensa il padre di Maìn, non emigrare in una cascina, la Valponasca, proprietà dei marchesi D’Oria, dai quali già avevano avuto in affitto vigneto e abitazione? Così, alla fine del 1848 o all’inizio del 1949 Maìn si trova non più in paese, ma in aperta campagna, lontana dall’abitato tre quarti d’ora di cammino.

La sua adolescenza è vissuta lì, tra le faccende di casa, l’aiuto per la crescita dei piccoli, il lavoro nei vigneti, la preghiera sempre più fiduciosa, intensa, affettuosa. Scopre che, nel solaio della casa, una piccola finestra dà dritta dritta sulla Parrocchia, al di là del vallone. Nella Parrocchia, adesso distante, c’è il suo grande amore, Gesù. La sera Maìn va alla finestrella e si mette in preghiera unendosi spiritualmente ai fedeli del paese che a quell’ora là stanno pregando. Piano piano conduce alla finestra sorelle e fratellini e poi ci arrivano anche i genitori, che stabiliscono, vista la bontà della cosa, che quello sia il luogo della preghiera serale della famiglia. “Là c’è Gesù” dice Maìn e il suo cuore brucia di amore contagioso.

Nonostante la distanza, Maìn non perde mai la lezione di catechismo fatto in Parrocchia, rispiega a qualche compagna, se vede che non tutto è stato ben compreso, ciò che Don Domenico ha detto e proclama apertamente che sul catechismo non vuole essere inferiore a nessuno, nemmeno ai maschi. A dodici anni, il 30 settembre del 1849, riceve la prima Comunione: il fuoco che già le ardeva in cuore diventa un falò che non si spegnerà più. Non è possibile rinunciare all’esperienza dell’incontro con Gesù e allora, d’estate e d’inverno, col caldo o con la neve, da sola o accompagnata da sorella o cugina, eccola correre alla Messa in Parrocchia sfidando anche il buio della notte e il disbrigo, prima di partire, di molti lavori domestici.

Ma che cosa contano i sacrifici di fronte all’incontro personale con Gesù nell’Eucaristia? I genitori sanno, capiscono e lasciano fare: Maìn è ormai grande e sa quello che fa.

Quando ha quindici anni, in paese capita un fatto importante: una giovane, tra quelle che meglio sostengono e aiutano don Domenico nell’animazione della Parrocchia, Angela Maccagno, di cinque anni più grande di Maìn, ha  un’idea di sicuro ispirata dall’Alto: come sarebbe bello e utile per il paese se nascesse un’associazione tra le ragazze più sensibili spiritualmente, desiderose di consacrare la loro vita al Signore, di aiutare le bambine, le ragazze, le giovani di Mornese a crescere nella gioia che deriva dalla conoscenza del Vangelo e accompagnandole perché la conoscenza diventi operativa!

La vita quotidiana, insomma, vissuta con una luce in più, che indica la strada del bene e al bene invita. E le mamme? Anche a loro occorre rivolgersi, per sostenerle nell’educazione dei figli e nel creare in famiglia un clima sano, ispirato, appunto, al Vangelo. Don Domenico, a cui Angela confida il suo pensiero, lo accoglie con entusiasmo e quando lei gli chiede di abbozzare un regolamento per il gruppo, dice: “No, lo farai tu stessa”. La Chiesa si sta preparando alla definizione del dogma di Maria Immacolata; quale nome migliore, per questa associazione, di “Figlie di Maria Immacolata?

Siamo nel 1852, Il gruppo è in gestazione e arriverà nel 1855 a definirsi secondo il regolamento, ma intanto Maìn subito vi si iscrive. È la più giovane delle cinque degli inizi, e già fa intravedere la sua attitudine alla leadership.  A Mornese la loro presenza nel silenzio si impone: sono brave quelle ragazze, sono serie, aiutano dove c’è bisogno, sono sempre serene e allegre: oggi un consiglio, domani un favore, poi una parola amica, poi un aiuto a chi soffre…; Maìn in particolare si distingue nel farsi amiche le ragazze più birichine, che prima o poi desiderano imitarla.

Un giorno alla Valponasca arrivano i ladri e portano via i risparmi della famiglia, frutto di tanti anni di fatiche… Ai parenti costernati Maìn suggerisce pensieri di fede e li invita a pregare per la conversione dei ladri. Il padre, però, decide di tornare ad abitare in paese: troppo isolata è la cascina, non più sicura. E di nuovo si trasloca. Maìn in fondo è contenta: la Parrocchia sarà molto più vicina.

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1859-60. L’Italia è in guerra per l’indipendenza. Ogni guerra porta con sé altri malanni. A Mornese lascia l’epidemia di tifo. Maìn, per invito esplicito di don Domenico va a curare la famiglia dello zio, tutta ammalata.
È sicura di prendersi il male, ma obbedisce e va. I parenti, anche per le sue cure sollecite e affettuose, guariscono e lei si ammala fino ad arrivare in punto di morte. E la morte non le fa paura: segna l’incontro con il suo grande Amore. Ma per ora i progetti di Dio su di lei sono altri. Maìn lentamente guarisce, dopo cinquantatre giorni di malattia.

Il 7 ottobre cerca di mettersi in piedi e intuisce che il tifo, andandosene, ha portato con sé il fiore della sua giovinezza: addio lavoro tra i vigneti, addio lunghe camminate nella sua bella campagna… La vita è cambiata e Maìn, quasi “rassegnata” a vivere ancora in quelle condizioni, prega così “O Signore! Se mi dai ancora un po’ di vita, fa’ che io sia dimenticata da tutti. Io sono contenta di essere ricordata solo da te”.
Parole di crisi profonda e di amore insostituibile. E certamente non le è sfuggito di essersi messa a letto il 15 agosto, festa di Maria Assunta e di essersi rimessa in piedi il 7 ottobre, festa della Madonna del Rosario, alla cui associazione si era iscritta già all’età di dieci anni. Maria Ausiliatrice, tanto venerata a Mornese, ha vegliato su di lei.

E ora, però, che fare? Un giorno, raccontano le cronache, passa per la strada di Borgoalto e a un certo punto si stropiccia gli occhi: “Ma che cos’è questo che vedo? Qui non c’è mai stato niente e vedo un palazzo con tante ragazze in cortile a giocare” e sente come una voce:” A te le affido”. Stupore, sbalordimento, paura… Ne parla con don Domenico e si sente dare della visionaria, con l’ordine di non pensarci più e di non parlarne assolutamente con nessuno. Non parlarne, sì, non pensarci? Impossibile. In lei si è accesa una luce che non si spegnerà più.

La vita cambia, il desiderio di fare del bene alle ragazze che già prima cercava di educare adesso diventa il pensiero dominante, ma come realizzarlo? Idea: “Il lavoro nei vigneti non è più per me, ma se imparassi a cucire per poi insegnare alle ragazze, radunandole in casa?”. Dopo la messa della domenica: “Petronilla (è l’amica del cuore), ascolta. Io voglio imparare il mestiere di sarta, così potrò radunare bambine e ragazze per insegnare loro il mestiere e intanto aiutarle a divenire buone cristiane. Tu vieni con me, andiamo a imparare dal sarto e poi mettiamo su un laboratorio e fin d’ora mettiamo l’intenzione che ogni punto d’ago sia un atto di amore di Dio”. Petronilla pone qualche obiezione, non se lo aspettava di poter divenire con Maìn una piccola imprenditrice, ma sente Maìn così sicura di sé che dice sì.

Così comincia una splendida avventura di bene che si propaga, di bambine e ragazze felici, operose e gioiose perché per loro Maìn inventa a Mornese l’oratorio, i giochi di carnevale e mille cose per tenerle allegre e lontane dai pericoli. Le famiglie sono contente, si fidano di Maìn e di Petronilla. Sono anni intensi, che ne preparano altri impensabili per le due amiche e per altre giovani che si uniscono a loro.

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7 ottobre 1864. A tarda sera a Mornese arriva Don Bosco accompagnato da un centinaio di ragazzi vocianti e felici per la passeggiata autunnale prima dell’inizio della scuola. L’ha invitato don Domenico dopo che i due si erano incontrati per caso in treno e si erano raccontati i loro sogni. Don Bosco parla alle Figlie dell’Immacolata e tra lui e Maìn scocca la scintilla della santità diffusiva. “Don Bosco è un santo, io lo sento” dice Maìn alle compagne e più tardi a Petronilla confida che la parola di Don Bosco è come l’eco di un linguaggio che sente in cuore senza saperlo esprimere, è come l’espressione del suo stesso sentimento.
Amare Gesù, avere lui al centro del cuore e fare del bene, tutto il bene possibile al prossimo, soprattutto alle ragazze. In quei giorni Maìn e le Figlie dell’Immacolata corrono dove sanno che Don Bosco parla alla gente e lui si commuove nel vedere queste giovani così decise verso traguardi di santità.

Don Bosco torna altre volte a Mornese e si convince che da quel gruppo di giovani può nascere quello che da tanti, a partire dal Papa, gli viene consigliato: fare anche per le ragazze ciò che lui fa da tempo a Torino pe i ragazzi. Tante sono le difficoltà che si incontrano nel cammino, ma tutto viene superato con giovane entusiasmo. Intorno a Maìn il gruppo di chi la segue si fa più numeroso e lei, senza volerlo, ne diviene la guida. Un bel gruppo di loro, Maìn la prima, è pronto per la grande novità che si compie il 5 agosto 1872: con la decisione, pronunciata presso l’altare, di voler vivere caste, povere e obbedienti per rispondere all’amore di Gesù e al bisogno di educazione delle giovani, undici Figlie dell’Immacolata divengono religiose e Maìn ora si chiama suor Maria.

 

Maìn ha obbedito con amore e fiducia ai progetti di Dio su di lei, anche quando tutto le sembrava perduto: sarebbe potuta essere una brava contadina per tutta la vita e invece, grazie  a questa docilità al Signore, è divenuta, 150 anni fa, la pietra angolare dell’Istituto delle Figlie di Maria Ausiliatrice, che oggi nel mondo sono presenti in novantasette Stati con più di diecimila opere educative.

 Portano ai giovani, in tutti i modi possibili, la Parola che salva.

 “Lei, la prima”.

  

Suor Maria Vanda Penna, FMA