Costruiamo il futuro con i ragazzi

Gigliola Alfaro

 

“Viviamo tempi di crisi sanitaria, sociale e perfino bellica. Crisi che rappresentano uno stimolo a reagire alle difficoltà con una serie di risposte articolate e anche a rilanciare le politiche a tutela dell’infanzia e dell’adolescenza in Italia. Perché queste ultime siano efficaci è però necessario che tengano conto dei diritti dei minorenni, in poche parole che siano ‘a misura di bambino e ragazzo’. Ciò può accadere a condizione che si coinvolgano i minori di età nelle scelte che li riguardano, facendoli partecipare sia alla fase progettuale che a quella di monitoraggio e verifica”.

È questo l’appello lanciato, martedì 14 giugno, dall’Autorità garante per l’infanzia e l’adolescenza, Carla Garlatti, in occasione della presentazione della “Relazione al Parlamento 2021”.
Alla garante chiediamo di fare il punto con noi sulle principali emergenze che riguardano i minori in Italia.

 

In questo tempo di crisi come siamo messi sul fronte dei diritti dell’infanzia e dell’adolescenza?

Quello che ho potuto verificare, soprattutto attraverso gli studi che sono stati condotti, è un aumento importante dei disagi della salute mentale dei ragazzi. Abbiamo avviato uno studio scientifico di tre anni, assieme a Istituto superiore sanità e in collaborazione con Ministero dell’istruzione, proprio sulla salute, lo sviluppo e il benessere mentale dei minorenni. I primi risultati, pubblicati a marzo, sono allarmanti perché i problemi manifestatisi durante la pandemia rischiano di diventare cronici e diffondersi su larga scala. Parliamo di disturbi del comportamento alimentare, ideazione suicidaria (tentato suicidio e suicidio), autolesionismo, alterazioni del ritmo sonno-veglia e ritiro sociale. In aumento anche le richieste d’aiuto per l’uso di sostanze psicoattive, cannabinoidi e alcool.

 

È un aspetto che va tenuto in considerazione perché gli adolescenti, in particolare, hanno molto sofferto la mancanza di socialità. E se i bambini più piccoli, che vivono in famiglie senza problemi, hanno potuto godere di più della presenza dei loro genitori, quelli che vivono in famiglie disfunzionali hanno sofferto particolarmente per la situazione generata dall’emergenza sanitaria perché si sono trovati a vivere in una “gabbia”, da cui non avevano la possibilità mai di evadere. La pandemia, in generale, ha di molto acuito le disparità.

 

Si riferisce a qualcosa in particolare?

Pensiamo all’uso della rete, che porta tante insidie – a cui bisogna prestare grande attenzione – ma che si è dimostrata anche utile. Per molti bambini la mancanza della rete ha significato il non poter seguire le lezioni. La Dad ha dato molti problemi, ma non avere questa possibilità ne ha creati di più. Chi non ha potuto usufruire della Dad, perché la rete non arrivava o perché le famiglie non avevano strumenti – pc, tablet, smartphone – per far seguire ai figli la didattica a distanza, ha visto l’acuirsi delle disparità sociali ai propri danni. Non posso non citare, poi, il problema della dispersione scolastica che è significativo nel nostro Paese.

 

Tra le tante iniziative che occorre adottare, ho rilanciato la proposta di istituire in Italia aree di educazione prioritaria nelle zone a più alto rischio. Occorre inoltre concentrare risorse per rendere eccellenti le scuole e i servizi frequentati dai bambini in situazione di vulnerabilità. Alle famiglie fragili, infine, vanno offerti interventi su misura da parte di un’équipe multidisciplinare.

 

Come Autorità avete promosso anche la consultazione pubblica “La scuola che vorrei”…

È un’esperienza a cui tengo molto perché è un esempio concreto di ascolto dei minori, che ho promosso tra 10mila studenti italiani e i cui risultati ho recentemente portato al ministro dell’Istruzione, Patrizio Bianchi. Rispondendo alle domande del questionario, confezionato anche con il contributo dei ragazzi della Consulta ,gli studenti hanno chiesto un maggior dialogo con gli insegnanti, la ridefinizione del piano degli studi con materie a scelta, oltre che apertura e integrazione della scuola con il territorio. Mi ha sorpreso che il voto non sia guardato male dai ragazzi, che chiedono piuttosto sia accompagnato anche da un giudizio che tenga conto della fatica fatta durante la pandemia, il sacrificio tenuto per rispondere alla tutela della salute pubblica.

 

C’è un problema di devianza minorile?

Quando si parla di un aumento della devianza minorile, invito a essere molto cauti, perché, probabilmente, è più quella percepita che quella reale. Piuttosto c’è un aumento della violenza gratuita, di una mancata capacità di rendersi conto della gravità di quello che si fa, dell’indifferenza nei confronti delle vittime: questi sono aspetti molto preoccupanti sui quali occorre intervenire.

 

Ma bisogna anche ricordare che i minori sono persone in evoluzione e quindi non va dato loro uno stigma, vanno aiutati a crescere. Una delle risposte alla devianza minorile può arrivare dalla giustizia riparativa, un istituto in cui credo moltissimo, che consente agli autori di reato di comprendere la sofferenza della vittima a partire dal suo vissuto, acquisendo consapevolezza di aver agito non contro qualcosa (la legge) ma contro qualcuno. Per questo, la giustizia riparativa può essere uno strumento per contenere i casi di recidiva. Allo stesso tempo la vittima, anche quella minorenne, trova uno spazio di ascolto e di parola, può esprimere emozioni ed elaborarle.

Come Agia stiamo facendo uno studio qualitativo per vedere gli effetti della giustizia riparativa e lo scopo sarà quello di diffondere questo strumento, che ora sarà oggetto di specifica normativa, con la riforma Cartabia, ma che i giudici minorili praticano già da tempo.

 

Lei ha detto, nella presentazione della Relazione al Parlamento, che i ragazzi hanno risposto con intelligenza alla crisi pandemica, mentre gli adulti sono stati più problematici.

Nello studio sulla salute mentale, c’è stato un focus specifico sulla scuola nel quale è emerso che i ragazzi sono rimasti molto disorientati per aver scoperto la fragilità dell’adulto e nel non essere riusciti a trovare nell’adulto quel punto di riferimento, di appoggio, di cui avevano particolarmente bisogno in un momento in cui tutto stava vacillando.

Io dico sempre che bisogna coinvolgere i ragazzi, a seconda dell’argomento e del loro grado di maturità, ma questo non significa deresponsabilizzare gli adulti, che continuano ad avere il compito di accompagnare i minori nella fase di crescita.

 

Qual è la situazione dei minori stranieri non accompagnati?

Per loro è stato difficile comprendere le misure di contenimento. L’Italia ha una grande esperienza nell’accoglienza dei minori provenienti da un background migratorio, ragazzi che vogliono costruire un futuro in Italia. A questi ora si aggiungono più di 5mila provenienti dall’Ucraina, molti erano stati inseriti nelle scuole ma molti avevano proseguito con la didattica a distanza con il loro Paese, perché non vogliono trattenersi qui, ma sognano di tornare nelle loro case. È un fenomeno diverso quello dei minori ucraini rispetto agli altri: anche gli altri Msna provengono da guerre – nel mondo ce ne sono in corso 59 -, ma i minori non accompagnati ucraini hanno un’età più bassa e non vengono completamente soli perché magari sono venuti in Italia con la nonna o la zia, sono ospitati in famiglie di connazionali.

Certo, anche per loro è un trauma forte, perché hanno lasciato la loro famiglia, le loro case, hanno vissuto dei lutti, non sanno quando torneranno nel loro Paese.

 

Quanto pesa sui ragazzi anche italiani la guerra in Ucraina?

La guerra in Ucraina è una crisi che si aggiunge a quella sanitaria e sociale e che contribuisce ad alimentare il senso di incertezza, di un futuro incerto che noi adulti dobbiamo cercare di contrastare, facendo capire ai ragazzi che il futuro c’è ed è possibile, coinvolgendoli nella creazione di questo futuro.

 

Lei ha ricordato che nella Convenzione Onu non è contemplato il diritto alla speranza e al futuro. Ma come si possono dare oggi, in un contesto di crisi, speranza e futuro ai ragazzi?

Non ignorandoli, non abbandonandoli, non facendo finta che non ci siano, com’è successo nella prima fase del Covid. Se noi coinvolgiamo i ragazzi e li facciamo sentire parte di questa società, facciamo capire che anche loro possono contribuire al futuro, penso che loro stessi possono maturare un’idea di futuro in chiave intergenerazionale: saranno gli adulti di domani, ma sono anche i giovani di adesso. Per costruire il futuro coinvolgiamoli. E l’ascolto è l’anticamera della partecipazione.

 

 

Fonte: agensir