Frenesia: malattia dell’educazione

Di: Pino Pellegrino

 

I figli si ricordano delle fermate!

Un giornalista un giorno intervistò un uomo ormai adulto: “Qual è il più bel ricordo che ha dei primi anni della vita?».

L’uomo rispose: “Mi ricordo quando una sera eravamo soli io e mio padre e mio padre si è fermato». L’adulto di oggi aveva allora cinque anni. L’intervistatore proseguì: «Perché si ricorda di questo?”.

“Perché non pensavo che mio padre si sarebbe fermato a prendermi le lucciole al bordo della strada, invece si è fermato!”.

I figli si ricordano delle fermate! La fretta insidia l’educazione. È questo che ci interessa in modo particolare. Vediamo, dunque, che gli ambiti nei quali la frenesia attenta l’educazione ci pare siano, oggi, soprattutto tre.

 

 

1. Scavalcare l’infanzia

 

II primo è quello di portare a scavalcare l’infanzia. La frenesia è nemica del verbo ‘aspettare’. Ecco perché in tempi veloci come i nostri si pensa che esser bambino sia tempo perso: solo l’adultità ha valore! Bruciare l’infanzia è scardinare la vita. Lo affermiamo con la massima tranquillità psicologica e pedagogica per più ragioni.

 

Perché il bambino è il padre dell’uomo. Perché passati i dieci anni è difficile mutar panni. Perché chi ha piantato un cardo non può aspettarsi che nasca un gelsomino. Perché i primi anni della vita sono i più sensibili: gli ‘anni fatali’, come dicono alcuni nipiologi (gli studiosi del lattante).

 

Lo psicologo statunitense Arnold Gesell non ha dubbi: “La maturità psicologica che viene raggiunta nei primi cinque anni di vita è prodigiosa!”. Il maestro Mario Lodi conferma: “Nei primissimi anni dell’infanzia il bambino impara l’80% di quanto gli servirà per tutta la vita”.

 

La psicanalista Alice Miller conclude: “L’opinione pubblica è ancora ben lontana dall’avere consapevolezza che tutto ciò che capita al bambino nei primi anni di vita si ripercuote inevitabilmente nella società: psicosi, droga, e criminalità sono l’espressione cifrata delle primissime esperienze». Altro che tempo perso, l’infanzia! Essere bambino è un’occasione unica che non si ripeterà mai più.

Dunque, lasciamo che il bambino sia (non che resti!) bambino.

Lasciamo che giochi, corra, sogni, fantastichi, rifiuti il brodo e vada matto per le patatine fritte, che pensi di toccare la Luna con il dito, che creda a Gesù Bambino, a Babbo Natale, che faccia schizzare l’acqua delle pozzanghere, che voglia andare a pescare quando nevica, che si incanti davanti alle bollicine di sapone, che calpesti le foglie secche in autunno, che si imbratti… Un bambino tutto bambino oggi, sarà un ragazzo tutto ragazzo domani; un giovane tutto giovane; un adulto tutto adulto!

 

Paolo Crepet: “Se amassimo davvero i nostri figli, non li costringeremmo a passare le giornate tra scuola, piscina, lezioni di piano, di violino, palestre, corsi di computer con il solo scopo di annichilirli”.

 

 

2. Il pensiero veloce

 

Il secondo campo in cui la fretta colpisce l’educazione è quello del privilegiare il pensiero veloce rispetto al pensiero riflessivo. Il pensiero veloce ha oggi la massima espressione nel pensiero televisivo: rapido, pirotecnico, spettinato, secco, frammentato, saltellante; un pensiero che fa venire in mente i cani dei pastori. Li avete presenti? Se non sono ben addestrati, appena vien dato il largo alle pecore, si mettono a rincorrere una pecora, poi l’altra, poi una terza, senza concludere nulla. Lo stesso avviene per chi fruisce della televisione: la velocità delle sequenze non dà tempo per capire, per riflettere: tutto scorre, senza essere assorbito.

 

Se il pensiero veloce trionfa in televisione, il pensiero riflessivo è protetto dalla lettura. Mentre l’elettronica impone il suo ritmo dall’esterno, senza che nessuno possa cambiarlo, nella lettura ognuno può fermarsi quando e quanto vuole, può tornare indietro per approfondire, sottolineare, ripensare.

 

Tra il leggere ed il guardare un display vi è la differenza che c’è tra l’andare a piedi e l’andare in treno. Chi va in treno ‘guarda’, ma non ‘vede’; chi va a piedi oltre a ‘guardare’, può anche ‘vedere’ e ‘capire’. È acuto il proverbio che recita: “In fatto di strada, la lumaca ne sa più della lepre!”. La frenesia che privilegia il pensiero rapido a scapito del pensiero riflessivo, è la responsabile della presunzione dei tanti che si illudono di sapere senza conoscere!

 

 

3. Le poltrone logore

 

Finalmente, il terzo danno che la fretta provoca all’educazione è il fatto di impedire di logorare le poltrone di casa.

Danno più grave di quanto non appaia in prima battuta. La casa che non ha le poltrone logore è una casa senz’anima! Non avere le poltrone logore significa che in quella casa si corre sempre, nessuno si ferma, nessuno trova il tempo di guardare negli occhi dell’altro, nessuno trova il tempo d’essere felice! La casa ove le poltrone non sono logore è uno spogliatoio per cambiare abiti, un dormitorio per dormire, una trattoria ove si mangia brontolando e si esce senza aver pagato il conto! La casa ove non vi sono le poltrone logore è tutto, tranne che famiglia!

 

Già, proprio a questo può portare la frenesia: alla distruzione della famiglia! Perché la «famiglia» (da non confondere con «casa»!) vive di pause. Vive della pausa della cena consumata tutti insieme; della pausa della chiacchierata; della pausa caffè; della pausa dell’ascolto; della pausa domenicale; della pausa delle coccole…

 

Lo psicoterapeuta Fulvio Scaparro afferma: “L’attacco più grande alla famiglia oggi non viene solo dall’esterno, ma anche dall’interno, dalla frenesia della vita, dalla mancanza di tempo per stare insieme, ascoltare i figli, parlare”.

 

 

Fonte: Bollettino Salesiano