Centinaia di bambini mi chiamano papà

Don Sergej Goman è un missionario salesiano originario della Bielorussia. Poco più che quarantenne, ha trascorso la maggior parte della sua vita religiosa nell’Africa Occidentale. In Sierra Leone si è dedicato ai bambini di strada, agli orfani dell’Ebola e durante la pandemia ha anche collaborato a vari progetti con l’opera “Don Bosco Fambul”.

Mi chiamo don Sergej Goman, ho quarantadue anni e sono nato in Bielorussia, nell’ex Unione Sovietica. La mia famiglia non è molto numerosa: sono il maggiore di tre figli. La mia famiglia ha una piccola fattoria. Dopo aver frequentato la scuola media mi sono iscritto a un istituto tecnico e mi sono diplomato in saldatura. Ho poi cominciato a lavorare come saldatore in una fabbrica».

 

Perché sei diventato religioso e salesiano?

Molte vocazioni sono un mistero di Dio ed è difficile spiegarle. Ho frequentato il noviziato in Russia, a Mosca. Ho studiato filosofia ancora in Russia, a San Pietroburgo. Ho poi seguito il tirocinio a Mosca, in Russia, e in Ghana, ad Ashaiman. Ho quindi studiato teologia in Kenya, a Karen.

 

Qual è stato il motivo per cui ho seguito Cristo?

Quando ero piccolo andavo spesso a trovare mia nonna, perché i miei genitori erano impegnati in varie occupazioni. Ammiravo molto mia nonna, per diverse ragioni. Sebbene i cristiani fossero perseguitati, aveva una fede molto forte.

Tutte le domeniche andava in chiesa e pregava regolarmente ogni giorno. Ricordo che un poliziotto andò a casa sua e le impose di pagare una multa perché aveva infranto la norma vigente nello Stato che intimava di non andare in chiesa portando con sé i nipoti. Mia nonna pagò umilmente l’ammenda e offrì persino latte da bere al poliziotto. Rimasi davvero colpito dal comportamento che adottò in quella circostanza.

Un detto molto saggio di un Santo Padre della Chiesa Ortodossa recita:

“Quando un uomo cammina nel timore di Dio non ha paura, anche se è circondato da uomini malvagi. Ha il timore di Dio dentro di sé e indossa l’invincibile armatura della fede, che lo rende forte e capace di affrontare qualsiasi cosa, anche ciò che sembra difficile o impossibile alla maggior parte delle persone. Un uomo così è come un gigante circondato da scimmie o un leone ruggente tra cani e volpi. Va avanti confidando nel Signore e la sua volontà costante colpisce e paralizza i suoi nemici. Brandisce con saggezza la clava ardente della Parola” (San Simone).

Dopo aver ricevuto tutti questi esempi cominciai a partecipare alla Messa domenicale. Mi recavo in chiesa due ore prima dell’inizio della Messa e uscivo un’ora dopo la fine, per fare in modo che i miei insegnanti non mi vedessero. La prima volta in cui andai a Messa non capii di cosa si trattasse. La Messa era celebrata in lingua polacca.

Con il passare del tempo cominciai a capire. Pochi mesi dopo diventai ministrante in quella stessa chiesa. Ricevetti poi la Prima Comunione. Nonostante le circostanze, non smettevo di pensare a Dio e all’eventualità di diventare sacerdote. Ne parlai con i miei amici e con i miei insegnanti, sebbene fossero in maggioranza atei. Negli occhi di molti di loro vidi la paura, ma anche la domanda: «E se fosse vero? E se Cristo esistesse e fosse risorto dai morti? E se sbaglio?» Questo è stato lo sfondo della mia vocazione e questa è la persona che con le sue azioni interpellò la mia fede.

Dopo il 1991, quando il regime comunista crollò, la situazione migliorò leggermente: potevamo andare in chiesa e io mi impegnai di più nelle attività al suo interno. Frequentai alcuni laboratori organizzati dai Salesiani, attraverso i quali ebbi modo di conoscerli meglio e alla fine sentii che volevo entrare a far parte della Congregazione Salesiana.

 

Come reagì la tua famiglia?

Mio padre è ortodosso e mia madre è cattolica. Nessuno dei due praticava la propria fede in Gesù. I miei genitori avevano una mentalità aperta e non si opposero alla mia scelta di diventare salesiano. Quando le dissi che pensavo di diventare sacerdote, mia nonna cominciò a pregare senza sosta.

 

Quali caratteristiche ha l’opera in cui lavori?

Il Don Bosco Fambul è un’organizzazione non governativa locale cattolica che opera in Sierra Leone dal 1998. L’obiettivo principale del nostro lavoro è proteggere i bambini in condizione di vulnerabilità e responsabilizzare i giovani affinché diventino cittadini responsabili e capaci di dare un buon contributo al loro ambiente.

Al Don Bosco abbiamo elaborato circa otto progetti, tutti orientati al miglioramento delle condizioni personali ed economiche dei giovani in Sierra Leone. Siamo contenti dell’opera a cui lavoriamo, perché vediamo che va nella direzione di ciò che desideriamo per cambiare la vita di molti giovani in tutto il Paese.

Possiamo inoltre offrire quotidianamente un servizio educativo e di consulenza ai giovani presso il centro giovanile e aiuti di emergenza in situazioni critiche. Il Don Bosco Fambul li aiuta anche a scoprire le loro attitudini attraverso il teatro, la danza e il lavoro artigianale.

 

Come sono i vostri giovani?

I giovani che attualmente si trovano nelle nostre strutture di accoglienza temporanea stanno bene perché provvediamo alle loro necessità di base, offrendo loro tre pasti al giorno e cure mediche. Forniamo tutti i servizi disponibili, che spaziano dalla consulenza psicosociale alla consulenza individuale con i nostri assistenti sociali.

Anche i giovani che non vivono nelle nostre strutture di accoglienza temporanea, ma fruiscono del progetto Hope Plus, stanno bene, poiché la maggior parte di loro va a scuola grazie al nostro sostegno e altri frequentano il Centro di formazione professionale. I giovani che si sono diplomati in questi centri di formazione ora lavorano nel settore del turismo, alcuni hanno negozi di sartoria, altri saloni di acconciature. Molte ragazze che abbiamo accolto nei centri di formazione professionale vivevano nel mondo della prostituzione, ma oggi sono cittadine responsabili che contribuiscono allo sviluppo socio-economico della Sierra Leone.

Sono orgoglioso di dire che i nostri giovani stanno compiendo un ottimo percorso. Sono ragazzi di età compresa tra i 10 e i 25 anni della comunità, che frequentano regolarmente l’oratorio e devono affrontare problemi di conflitti personali e interpersonali.

 

Com’è considerata la Chiesa in Sierra Leone?

La Chiesa è considerata un’istituzione sacra responsabile della cura spirituale delle anime e della pacifica convivenza nella società. In passato la Chiesa era vista come un simbolo di speranza e religiosità. La Chiesa cattolica è ancora rispettata, perché è tuttora un rifugio sicuro per i giovani più vulnerabili che credono nelle sue dottrine.

La Sierra Leone è ufficialmente uno stato laico, sebbene l’Islam e il cristianesimo siano le due religioni principali e predominanti nel paese. La costituzione della Sierra Leone prevede la libertà di religione e il governo della Sierra Leone generalmente la salvaguarda. Al Governo della Sierra Leone è costituzionalmente vietato designare una religione di stato, sebbene solitamente all’inizio delle principali occasioni politiche, compreso l’insediamento presidenziale, nel Paese siano recitate preghiere musulmane e cristiane.

Si ritiene che la Chiesa abbia svolto un ruolo molto importante al servizio della pace e dell’istruzione: la maggior parte delle scuole appartiene alla missione cattolica. Le figure con ruoli di guida nell’ambito della Chiesa sono molto rispettate da tutti perché diffondono messaggi di pace.

 

E i Salesiani?

I Salesiani esercitano un’influenza positiva sui giovani tramite gli oratori/centri giovanili, le parrocchie, le scuole e l’impegno accanto ai bambini in situazioni di rischio.

 

Quali sono le realtà più belle?

La realtà più bella nell’opera di Don Bosco è il successo che abbiamo ottenuto nel corso degli anni aiutando centinaia di giovani, soprattutto ragazze, a lasciare la vita di strada. Il Don Bosco Fambul attraverso il progetto Hope Plus ha aiutato oltre 600 giovani adulti, a partire dall’inizio del progetto nel 2018, e ne abbiamo accolti varie centinaia negli istituti di formazione professionale di Freetown.

L’altra bella realtà è che Don Bosco è riuscito ad aiutare più di mille giovani di strada, ragazzi e ragazze, a riunirsi alle loro famiglie in tutto il Paese.

 

Quali sono i vostri problemi?

I problemi sono molti, ma siamo resilienti e riusciamo a superarli per fare in modo che i giovani per cui lavoriamo siano felici. Il problema principale che affligge noi Salesiani è vedere per le strade ragazzi che abbiamo aiutato, a cui abbiamo offerto tutte le risorse di cui disponiamo, che tornano a vivere come facevano prima che li accogliessimo nei nostri centri. Anche il Coronavirus ultimamente ostacola le nostre attività e i nostri programmi. Alcuni dei nostri benefattori ne sono stati gravemente colpiti e alcuni hanno perso familiari a causa della pandemia.

Il Don Bosco Fambul non è un orfanotrofio e dunque avere nelle nostre case di accoglienza vittime di abusi sessuali e di altre violenze domestiche, i cui casi sono trattati nei tribunali, ostacola il nostro lavoro, poiché ci sono meno risorse per altri che dovrebbero essere accolti.

 

SIERRA LEONE

La Sierra Leone è uno dei Paesi più poveri della Terra. Oltre il 60% della popolazione vive con meno di 1,06 euro al giorno. Tredici anni di guerra e l’epidemia di Ebola hanno devastato il Paese. Più di 500 000 persone sono state sfollate e più di 60 000 bambini sono rimasti orfani e senza casa. I salesiani sono arrivati a Freetown nel 1994 e si sono posti l’obiettivo di testimoniare l’amore di Dio per i giovani sviluppando le varie opere tipiche di don Bosco: ricoveri per i ragazzi di strada, scuole, centri giovanili e parrocchie.

 

Fonte: BollettinoSalesiano