Il silenzio cristiano davanti alla vita e alla morte

Quando l’Agnello aperse il settimo sigillo,
nel cielo si fece un silenzio di circa mezz’ora e vidi i sette angeli che stavano dinanzi a Dio e furono loro date sette trombe.

 

Abbiamo sviluppato negli ultimi tre incontri virtuali il tema del fine vita e delle derive che la cultura dello scarto produce, fino all’ultima iniziativa di depenalizzazione dell’omicidio del consenziente. Abbiamo anche visto le tentazioni individualistiche che si nascondono negli opposti schieramenti, e talvolta pervadono alcuni cristiani, rendendo impossibile un dialogo proficuo e una seria presa di coscienza del fatto che non è una lotta tra principî, ma una chiamata alla testimonianza.

Ora, utilizzando le parole del libro dell’Apocalisse che ispirano il film Il settimo sigillo, che ci ha accompagnato nella riflessione, mi concentrerò su un particolare, piccolo, ma utile per comprenderci e comprendere il senso di tutto il discorso fin qui svolto: la durata del silenzio.

È strano, ma l’apostolo ed evangelista Giovanni, quando vuole evidenziare al lettore l’importanza di un avvenimento, ne indica le coordinate temporali: ad esempio, nell’episodio della chiamata dei primi due apostoli, Andrea e un altro che resta innominato, il primo incontro con il Signore è scandito da un orario, l’ora decima, cioè le quattro del pomeriggio.

L’Apocalisse, ancor di più, nel suo linguaggio simbolico, inizia da una visione ben collocata temporalmente; l’autore attesta: “Fui preso dallo Spirito nel giorno del Signore” (Ap 1,10).

 

È il tempo che scorre, velocemente o lentamente, con un ritmo sostenuto o con un andamento circolare, a segnare la nostra esistenza, a diventare opportunità, a mostrare che il nostro essere creature finite è un’esperienza di positiva attesa dell’Altro. A quanti obiettano: “La vita è mia e ne faccio ciò che voglio, senza che alcuno mi possa condizionare”, non penso sia fruttuoso rispondere che la vita è di Dio e che ci viene offerta come dono da custodire.

E non perché l’assunto sia sbagliato, tutt’altro: sapere che la vita è un dono da custodire è una delle più liberanti certezze del cristiano, così come essere consapevoli che sarà chiesto conto del modo in cui avremo speso il tempo è una delle più forti spinte a operare per il bene. Tuttavia, si tratta di un livello di coscienza che necessita di profonde radici cristiane, via via rovinate dalla secolarizzazione in Europa.

 

Piuttosto, la risposta è invitare l’interlocutore a riflettere quanto sia sbagliato parlare della vita come un oggetto posseduto, uno spazio occupato, un territorio conquistato per sé.
La vita è tempo che si dispiega, è processo che si fa significato, è cammino verso la pienezza delle potenzialità che ciascuno può raggiungere. Una potenzialità che non è misurabile sul piano dell’efficienza, della perfezione fisica, del tollerabile, ma su quello dell’umanità costruita. Non c’è sofferenza che possa spegnere questa realtà, non c’è dolore che possa distruggere questa certezza.

Avere una fine dignitosa è un diritto che deve essere garantito, attraverso le cure palliative, ma ancor di più con la solidarietà.

Come ha affermato Papa Francesco nel Messaggio per la XXIX Giornata del Malato, La vicinanza è un balsamo prezioso, che dà sostegno e consolazione a chi soffre nella malattia. In quanto cristiani, viviamo la prossimità come espressione dell’amore di Gesù Cristo, il buon Samaritano, che con compassione si è fatto vicino ad ogni essere umano, ferito dal peccato. Uniti a Lui per l’azione dello Spirito Santo, siamo chiamati ad essere misericordiosi come il Padre e ad amare, in particolare, i fratelli malati, deboli e sofferenti (cfr. Gv 13,34-35). E viviamo questa vicinanza, oltre che personalmente, in forma comunitaria: infatti l’amore fraterno in Cristo genera una comunità capace di guarigione, che non abbandona nessuno, che include e accoglie soprattutto i più fragili.

 

Allora, la mezz’ora di silenzio che segue all’apertura del settimo sigillo sarà il simbolo del mistero che avvolge la vita umana, schiusa nel progetto di Dio – a tratti manifesto, a tratti oscuro –; sarà la pausa di trepidazione di una libertà donata; sarà l’atmosfera dell’ultima mossa nel gioco dell’esistenza.

 

Andrea Miccichè

 

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