Riportiamo l’intervento di suor Piera Cavaglià, FMA, tenuto durante il Triduo in preparazione alla canonizzazione di suor Maria Troncatti.
Ci troviamo dinanzi ai campi dove lavorava la famiglia Troncatti. Il campo è per noi segno di una vita feconda, generativa di frutti.
Per questo riflettiamo oggi sul volto materno di sr. Maria Troncatti. Ne metterò in luce alcuni tratti della sua ricca personalità di donna, di madre, di educatrice.
Nell’anno del Giubileo 2025 celebriamo una “donna di speranza”. Con la sua opera ci fa capire che un nuovo mondo è possibile. Ha saputo far sognare le persone che ha incontrato nella selva equatoriana generando speranza e aprendo vie di speranza e di riconciliazione là dove il male, la vendetta sembrava prevalere.
Qual è il segreto di questa sua capacità di essere ponte di riconciliazione come solo una madre può essere?
Tutti erano convinti che la Madrecita era passata in mezzo a loro come Gesù facendo del bene, e tutti avevano percepito in lei una Presenza d’amore e di pace.
Così era scritto nel luogo dove cadde l’aereo e dove morì sr. Maria Troncatti a Sucùa quel 25 agosto 1960: Incomparabile interprete della bontà di Gesù.
E questo non in astratto, ma con gesti concreti che tutti sapevano capire.
Un ricordo indimenticabile
Quando venne beatificata sr. Maria Troncatti a Macas in Ecuador il 24 novembre 2012 io ero là con madre Yvonne e alcune Consigliere generali, oltre che numerose Ispettrici, sorelle e giovani. Un evento indimenticabile! Un’esperienza di Chiesa viva con la presenza di 30 Vescovi dell’Ecuador con il Presidente della Conferenza Episcopale ecuadoriana, 200 sacerdoti celebranti, tra cui Padre Luis Bolla, ora Servo di Dio.
L’Eucaristia era presieduta dal Card. Angelo Amato Prefetto del Dicastero delle Cause dei Santi.
Era presente da Corteno la pronipote di sr. Maria Troncatti la Sig. Lucia Bianchi, il marito, due altri signori del paese e un rappresentante del Sindaco con la bandiera del Comune, il Sig. Diego Taddei, allora volontario dell’Operazione Mato Grosso.
Dopo la Beatificazione abbiamo incontrato un signore Shuar che desiderava assolutamente incontrare la pronipote di sr. Maria Troncatti per una comunicazione importante. Egli mostrò la sua carta di identità e lasciò sorpresa la Sig. Lucia e tutto il piccolo gruppo che si era creato attorno a lui e alla sua moglie. Si chiama di cognome RODONDI. Egli spiegò che alla sua nascita, sr. Maria gli assegnò il cognome della sua stessa mamma!
E quel signore orgoglioso notava che in tutto l’Ecuador è l’unico a portare quel cognome. Dunque concluse commosso: “Anch’io sono della famiglia di sr. Maria Troncatti!”.
Per lei tutti erano figli, perché non generava parole, idee o contenuti, ma “incontri”. Una madre ha sempre l’arte dell’incontro! Ogni incontro era per lei un’opportunità per dire alla persona che “Dio ti ama e cammina con te, non ti abbandona!”.
Il volto di una Madre
Suor Maria era TUTTO in quella selva, ma specialmente MADRE. Espresse al meglio la sua professionalità di infermiera e di medico, ma soprattutto le sfumature di una maternità veramente generativa.
Mons. Domenico Comin, tra i primi Salesiani giunti in Ecuador e il secondo Vicario apostolico, dopo mons Costamagna (1895-1920), due volte nel 1914 e nel 1924 incontrò a Roma il Papa e gli disse con amarezza: “Santità, stiamo innaffiando un palo secco!”. Il Papa, Benedetto XV, gli rispose: “Verrà il giorno che il palo secco fiorirà!” e sempre lo incoraggiò a continuare con speranza.
Infatti, dopo tanti anni di lavoro e di sacrificio, lo stesso mons. Comin costaterà: “Il principio della trasformazione santa, immediata […] fu l’ispirazione di chiamare in aiuto le Figlie di Maria Ausiliatrice e di cominciare il lavoro con i bambini, separando poi opportunatamente i ragazzi dalle ragazze”.
In quell’ambiente sr. Maria è stata testimone dei conflitti tribali e familiari, ma anche ha potuto vedere con i suoi occhi la loro liberazione dai pregiudizi, la loro apertura e maturazione nella fede. Come una mamma, godeva nel vedere i propri figli divenuti adulti, autonomi, liberi dai condizionamenti pesanti della cultura. Essere missionaria comportava non solo imparare una lingua nuova, vivere in una casa di legno o di fango, ma anche entrare nella mentalità di quel popolo secondo cui la vendetta era legge, discernere come annunciare il Vangelo, educare i giovani alla libertà nelle scelte matrimoniali, educare a rispettare la dignità della donna e di ogni persona, anche se disabile, fragile, povera.
Le sfumature di una maternità sorprendente
Esprime a tutti un amore forte, pieno di tenerezza e di compassione. È l’amore di una madre che intuisce i bisogni e si fa vicina per curare, incoraggiare, anche guarire le ferite del corpo e dello spirito.
La fantasia dell’amore è inarrestabile: dal grandioso progetto dell’ospedale, alla promozione delle ragazze perché imparino a fare le infermiere con professionalità, fino ai dettagli più commoventi: fino ad interessarsi perché il piccolo kivaro abbia l’abitino bello per la prima Comunione, o che il Salesiano, appena rientrato dalla Selva per il ministero, abbia una bevanda fresca o un ricostituente preparato da lei stessa.
Nell’ultima letterina che scrive al chierico Cosimo Cossu di 20 anni per augurargli buon onomastico, gli manda la preghiera certo, ma anche una piccola offerta in denaro con questa precisazione: “Si compri qualche cosettina personale di cui ha bisogno. Affinché non sia un sotterfugio, avvisi il Padre Ispettore e niente più” (L 81, 24 agosto 1969).
Tutti sono suoi figli, ma la sua tenerezza, comprensione e pazienza sono specialmente evidenti nelle lettere indirizzate al suo “figlioccio”: José Maria Espedito, ricevuto in dono appena nato dalla mamma morente e che lei stessa ha battezzato, cresciuto, educato con sacrifici e fatiche indicibili. Lo segue in tutta la sua crescita e maturazione di ragazzo, adulto, sposo e padre. A volte gli scrive in tono di affettuosa severità e di fermo richiamo ai suoi doveri di padre e di sposo. Qualche volta ha l’impressione che le sue ripetute promesse non siano sincere… e tuttavia come una mamma sa che c’è un cambiamento sempre possibile.
Termina numerose lettere scrivendo: “Tu madrina que te quiere mucho” (L 78) oppure: “Te abraza tu madrina que tanto sufre por ti” (L 77)
La sorgente a cui attinge l’amore
La maternità permeata di amorevolezza e di fermezza certamente sr. Maria l’attingeva alla sua personalità ricca di doti, coraggiosa e generosa, ma soprattutto da Gesù, dal suo amore infinito, dall’Eucaristia nelle frequenti soste davanti al tabernacolo.
Una suora attesta: “La sua bontà genuina era veramente un’irradiazione della grazia” (Sr. Pierina Rusconi Uboldi).
«Sembrava che non appartenesse a sé stessa, ma interamente agli altri, tale era il suo amore per le anime e il suo desiderio di rendersi utile» (Summarium 445).
Gesù le dà forza e serenità interiore per affrontare pericoli senza nome, preoccupazioni per il futuro della missione, malattie, difficoltà nelle relazioni tra coloni e Shuar.
Non perde mai la speranza; sa che anche la terra arida produce frutti se ben coltivata. Sa di essere una semplice operaia nella vigna del Signore e con senso di responsabilità e pace fa quello che può, ma lascia a Dio di fecondare la sua semina. Sa che tutto è grazia!
E quindi si sente immersa nella presenza di Dio e di Maria Ausiliatrice che potenziano la sua capacità di amare e di essere madre.
Uno degli atteggiamenti più abituali in sr. Maria è la sua povertà di spirito che la fa inginocchiare davanti a Dio, certa che è Lui il vero protagonista del bene che vede fiorire anche se lentamente tra gli indigeni. Non c’è in lei senso di protagonismo o di autoreferenzialità, virus che danneggiano gravemente ogni azione missionaria.
Una signora shuar (Zofia Felicia Calle Patacios) attesta che molte volte arrivava alla missione per partecipare al “rosario dell’aurora”. Così racconta: “Poiché non avevamo orologio, in parecchie occasioni arrivavamo molto presto alla Chiesa e lì trovavamo sr. Maria raccolta in preghiera. Quando la vedevamo il nostro cuore si colmava di gioia e di devozione vedendola sempre in preghiera con Gesù e Maria. E noi in qualsiasi problema che ci trovassimo, sempre andavamo da lei affinché ci ottenesse grazie dal Signore. Era il nostro medico per il corpo e per lo spirito. Suor Maria era una donna di fede profonda…a noi inculcava l’amore al Signore e alla Madonna”.
La certezza di sentirsi amata da Lui e di essere nella sua volontà non le toglie la fatica della cruda realtà missionaria. Lo scrive lei stessa con sincerità: “Per quanto mi immaginavo non potevo pensare che la vita della povera missionaria fosse tanto dura, tanto difficile. È una grazia grande che non mi perda di coraggio; anzi vi confesso che più vado avanti più sento nuova forza e non lascerei i miei cari indietti per tutto l’oro del mondo” (L 5 ai genitori, 4 novembre 1924)
Dio ha reso feconda la sua vita, ma non le ha risparmiato la fatica, il dolore, il dubbio, la paura. Infatti sr. Maria ha sperimentato in tutta la sua durezza il prezzo dell’evangelizzare tra sofferenze e fatiche in una «terra arida» (L. 8). Doveva cercare di comprendere gli indigeni con gesti e buon cuore, in mancanza di qualunque testo per l’approfondimento della loro lingua. Sapeva benissimo, inoltre, di essersi trovata fin dall’inizio in una delle missioni più difficili, dove il lavoro immenso, oltre che poco gratificante (L. 6 – Proc. p. 26). Eppure stare con i suoi cari indietti era tutta la sua gioia. In loro vedeva e adorava il volto luminoso di Gesù!
Una madre che dà la vita per coloro che ama
Diciamo che la maternità di suor Maria è una maternità generativa, perché porta vita, salva, trasforma le persone e la cultura immettendo semi di Vangelo.
Gesù dice che non c’è amore più grande che dare la vita per coloro che si amano, e suor Maria ha dimostrato questo “amore più grande” che l’ha portata a dare la vita.
C’è un racconto confidenziale di una suora che ce lo fa percepire con realismo e lucidità di intenzione. La sua morte non è stata solo causata da un incidente, ma motivata da un grande eroico amore, da un’offerta libera e consapevole.
“Nell’incendio della missione di Sucùa (4 luglio 1969), suor Maria soffrì in silenzio e manifestò tutta la sua fortezza cristiana perché non si arrese di fronte all’ondata delle difficoltà. [Padre Juan Shutka scrive che l’incendio sembrò il “trionfo del maligno”].
Da quel momento suor Maria raddoppiò le sue suppliche al Signore. Sentiva che per ottenere una riconciliazione completa tra le due razze (coloni e shuar) Dio le chiedeva qualcosa di grande: il sacrificio di una vittima e lei si offrì con generosità.
Il 5 agosto 1969 giunse a Macas per l’ordinazione sacerdotale di padre Victor Lituma. Finita la cerimonia mi prese per mano e mi portò in cortile. Piangeva molto ed era molto commossa. Mi disse queste precise parole: “La Madonna, la Purissima mi ha detto di preparami che presto mi succederà qualcosa di impressionante e grave per me. La prego, suor Pierina, di conservare questo segreto. Solo le permetto di parlarne quando l’avvenimento si sia realizzato”.
Prima della fine del mese di agosto, il giorno 25, suor Maria Troncatti morì tragicamente in un incidente aereo della compagnia TAO nei pressi di Sucùa.
La notizia si diffuse rapidamente e fu ricevuta con tanto rincrescimento. Gli Shuar giunsero con tutte le loro famiglie e gridavano: “È morta la nostra mamma!”.
Gli abitanti di Macas, dove lei aveva profuso tutto il suo entusiasmo giovanile, disfatti nel pianto, la circondavano, la baciavano e passavano oggetti sulle mani e sul viso di suor Maria. Tutti ripetevano: “È una santa!”.
La gente nella sua semplicità ha colto il cuore della vicenda biografica e carismatica di sr. Maria: una donna dalle profondità contemplative perché tutta di Dio, come Maria la Madre di Gesù e come Maria di Betania, seduta ai suoi piedi in ascolto orante della sua Parola.
Al tempo stesso è una donna tutta presa dai bisogni della sua gente, delle sue consorelle, della comunità, del contesto sociale ed ecclesiale.
La sua gioia è di non avere un minuto per se stessa; è totalmente donata alla missione con creatività e amore di madre.
Il suo messaggio è qui: il miracolo dell’armonia tra queste due dimensioni della vita: essere tutta di Dio ed essere tutta per gli altri. Di qui la fecondità missionaria della sua esistenza che non cessa di essere luce per tutti!



